DALLA PALESTINA SULLO SCIOPERO DEI PRIGIONIERI IN DETENZIONE AMMINISTRATIVA

DALLA PALESTINA SULLO SCIOPERO DEI PRIGIONIERI IN DETENZIONE AMMINISTRATIVA

Da una serie di brevi articoli comparsi nei giorni scorsi su HADFNEWS riteniamo

importante riportare queste informazioni, ad un giorno dall’inizio di uno sciopero

della fame che parte dai prigionieri amministrativi ma che ha l’appoggio sia degli

altri detenuti, sia dei familiari e di gran parte della popolazione palestinese.

Già da domenica 11 giugno il Comitato Amministrativo dei Detenuti, emanazione

del Comitato Superiore di Emergenza Movimento Prigionieri che gestirà questa

lotta da loro definita “battaglia”, ha annunciato uno stato di mobilitazione generale

in tutte le carceri in cui sono rinchiusi i detenuti amministrativi, come preparazione

alla partecipazione allo sciopero della fame a tempo indeterminato.

Il comitato ha dichiarato in un comunicato stampa che centinaia di prigionieri

amministrativi scioperano, a partire da domenica 18/06/2023, con lo slogan

“Rivoluzione della libertà – Intifada amministrativa”.

In precedenza, l’organismo dei Prigionieri aveva affermato che dall’inizio di

quest’anno le autorità di occupazione hanno continuato ad espandere il

provvedimento della detenzione amministrativa e per questo motivo il numero dei

detenuti ha superato il migliaio. Ad oggi i detenuti amministrativi sono nei centri di

detenzione delle tre prigioni centrali: Ofer, Negev e Megiddo.

Va sottolineato che, dall’inizio dello scorso anno 2022, i detenuti amministrativi

hanno attuato una serie di misure di lotta, la più importante delle quali è stata il

boicottaggio dei tribunali di occupazione, oltre alla fase di sciopero della fame,

effettuata da 30 detenuti amministrativi ed è durata 19 giorni, tutti passaggi che

fanno parte di una lunga lotta condotta per decenni. Il reato di detenzione

amministrativa, che costituisce uno dei reati più importanti e gravi commessi dalle

autorità di occupazione contro i palestinesi, è aumentato notevolmente dallo

 

scorso anno, rispetto agli ultimi anni. Le autorità israeliane hanno emesso più di

12.000 ordini di detenzione amministrativa dal 2015, con una percentuale più alta

nell’ultimo anno rispetto ai precedenti, quando il numero di ordini ha raggiunto i

2409 e l’80% dei detenuti amministrativi sono ex detenuti che hanno trascorso

anni nelle carceri dell’occupazione, anche in questo stesso regime di detenzione.

E’ importante ricordare che l’occupazione ricorre alla detenzione amministrativa

nei confronti di coloro contro i quali non è possibile presentare un atto d’accusa,

con il pretesto di avere un “fascicolo segreto” e come misura di “ritorsione”, sulla

base della Legge di emergenza ereditata dal mandato britannico.

 

Nel corso di una seconda conferenza stampa che si è tenuta nella mattinata di

giovedì 15/6 a Ramallah, il Comitato ha precisato che il numero dei detenuti

amministrativi è arrivato a 1083, di cui 19 bambini e tre detenute, che è il numero

più alto percentuale dal 2003 ed ha ricordato Khader Adnan, assassinato

premeditatamente dall’occupazione, che l’ha lasciato nella sua cella dopo 86

giorni di sciopero della fame, senza assistenza medica.

I partecipanti hanno anche richiamato l’attenzione su una serie di questioni

centrali: 1) quella dei vecchi prigionieri 2) i prigionieri liberati con lo scambio per la

 

liberazione del soldato Gilad Shalit avvenuta il 19 giugno 2011 (affare Wafaa al-

Ahrar) e l’avvicinarsi del nono anniversario del loro ri-arresto, che cade appunto il

 

18 giugno 3) il caso del capo prigioniero Walid Daqqa, che sta affrontando gravi

condizioni di salute nella cosiddetta “clinica carceraria” di Ramla.

Le autorità di occupazione mirano, attraverso il reato di detenzione

amministrativa, a minare qualsiasi stato effettivo e ad imporre un maggiore

controllo e supervisione sulla società palestinese nel quadro del regime di

apartheid imposto dall’occupazione a più livelli.

Al termine della conferenza, i partecipanti hanno invitato il popolo palestinese a

partecipare attivamente nel sostenere i prigionieri nella loro battaglia in corso, in

particolare con l’avvicinarsi di quella dei detenuti amministrativi.

Il numero totale di detenuti nelle carceri dell’occupazione è di circa 5000,

comprese 31 donne e 160 bambini.

Canpagna NO al Ponte Ben Gurion

Milano, 18/06/2023

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22 giugno: assemblea pubblica – La casa è un bisogno

Giovedi 22 giugno ore 20:30 Via Esterle 15 Milano

ASSEMBLEA PUBBLICA  ORGANIZZATA DA LA RETE PER IL DIRITTO ALL’ABITARE

LA CASA E’ UN BISOGNO – BASTA SPECULAZIONE

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10 giugno: PALESTINA …. il viaggio continua

Sabato 10 giugno dalle ore 18 Piazza Costantino 1 nello spazio esterno della sezione ANPI di Crescenzago

racconti, voci ed esperienze dai viaggi in Palestina ed interventi di alcune insegnanti protagoniste di un gemellaggio con una scuola Palestinese.

organizzano Campagna No al Ponte Ben Gurion, Anpi Crescenzago e Casa Crescenzago

 

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9 giugno: proiezione del film ” Una notte di 12 anni”

4 FILM PER PARLARE DI CARCERE, PRIGIONIA POLITICA E RESISTENZA

Venerdi 9 giugno dalle ore 21 proiezione di ” Una notte di 12 anni” un film di Alvaro Brechner (2018)

Uruguay 1973, la nazione è sotto il controllo di una dittatura militare. Una sera d’autunno nove prigionieri politici appartenenti al Movimento di Liberazione Nazionale (Tupamaros) vengono prelevati dalle loro celle nell’ambito di un’operazione militare segreta che durerà 12 anni e messi in isolamento in piccole celle in cui trascorreranno la maggior parte del tempo incappucciati, legati, in silenzio, privati di necessità fondamentali, denutriti. I loro corpi e le loro menti spinti oltre i limiti dell’immaginabile. Verranno assoggettati ad una forma di tortura mirata ad abbattere le loro capacità di resistenza psicologica dove l’ordine dell’esercito è chiaro: “Visto che non possiamo ammazzarli, li condurremo alla pazzia”.

Il film è basato sulle testimonianze delle esperienze vissute da tre Tupamaros, tra le figure più importanti dell’Uruguay contemporaneo: José “Pepe”  Mujica (ex presidente dell’Uruguay), Mauricio Rosencof (scrittore e poeta) e Eleuterio Huidobro (ex Ministro).

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4 film per parlare di carcere, prigionia politica e resistenza

Rassegna di 4 film per parlare di carcere, prigionia politica e repressione

venerdi 12 maggio: Hunger (2008) di Steve McQueen

venerdi 26 maggio: Fuga da Pretoria (2020) di Francis Annan

venerdi 9 giugno: Una notte di 12 anni (2018) di Alvaro Brechner

23 giugno: Silent Death (Sessiz Olum) 2001 di Huseyin Karabey

 

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20 aprile: presidio per il diritto alla casa

Il 20 Aprile dalle 17:00 alle 20:30 manifesteremo sotto il Comune di Milano per ribadire che non vogliamo vivere sotto un ponte.
Siamo i lavoratori immigrati delle occupazioni di Ci Siamo: gli abitanti degli ex bagni pubblici di Via Esterle 15, spazio per decenni abbandonato che il Comune un anno fa ha messo a bando per finalità religiose e che è assegnato alla Casa della cultura Musulmana di via Padova con una evidente contrapposizione fra il diritto all’abitare a quello al culto; gli abitanti di Via Fracastoro che in questo momento stanno ospitando le 40 persone tra single e famiglie sgomberate dall’ex stabilimento San Carlo di via Siusi 12, il 22 marzo scorso, dopo due anni e mezzo di vita in comune.
La situazione attuale mette a dura prova le vite di tutti noi: perdendo la casa rischiamo di perdere anche il lavoro, perdendo il lavoro rischiamo di non poter rinnovare i documenti e di trovarci irregolari in Italia.
Vogliamo dal Comune risposte concrete e durature per non distruggere questa comunità, dando un alloggio dignitoso a tutti. Vogliamo dal Comune anche la residenza lì dove abitiamo. Quella di Ci Siamo è una comunità che ha ricevuto forte solidarietà fin dall’inizio dagli abitanti dei quartieri in cui sono nate le occupazioni: hanno portato libri, indumenti e arredi, e hanno collaborato all’attività della scuola di italiano. Le occupazioni abitative sono un importante luogo di socializzazione ed autorganizzazione sulle tematiche lavorative, coloniali, abitative, dove c’è una costante ricerca di autonomia individuale e collettiva.
Siamo persone tra cui alcune famiglie con minori, provenienti dal Mali, Gambia, Marocco, Brasile, Benin, dalla Costa D’avorio, dalla Guinea Conakry, dal Togo e dal Perù. La maggior parte di noi ha i documenti, altri sono in attesa di riceverli, altri ancora aspettano la sanatoria dal 2020. Lavoriamo nel settore edile, delle pulizie e
della logistica, come badanti o rider.
Il problema abitativo a Milano è enorme: gli affitti sono troppo alti per lavoratori con contratti brevi e sottopagati. Per non parlare anche dell’aspetto razzista che vede spesso la resistenza dei proprietari di casa ad affittare agli immigrati.
In meno di 10 anni sono stati convalidati oltre 20.000 sfratti nella città di Milano, dato che non dà il quadro completo della povertà abitativa, perché non figurano tutte quelle persone che lasciano la casa prima che arrivi la forza pubblica. Inoltre, al tribunale di Milano ci sono 5.000 pignoramenti pendenti di persone che non sono più riuscite a pagare il mutuo. In questo contesto di 57.000 alloggi pubblici, 10.000 sono sfitti; nel 2016 sono stati stanziati 140 milioni di euro di soldi pubblici per ristrutturare 6.000 alloggi che non sono stati interamente assegnati. Ogni anno le assegnazioni non superano i 1.000 alloggi.
Lottiamo per:
– L’abolizione dell’articolo 5 del piano casa Renzi/Lupi del 2014 che impedisce di prendere la residenza e di fare gli allacci nelle abitazioni occupate o utilizzate senza un contratto;
– Permesso di soggiorno incondizionato per tutte/i non legato al contratto di lavoro né alla residenza, valido in tutta l’Unione Europea, e il mantenimento della protezione speciale;
– Azzeramento dei costi dei permessi di soggiorno;
– Cittadinanza per tutte/i le/i bambine/i nate/i in Italia;
– Abolizione di tutti i decreti sicurezza;
– Fine degli abusi e dei lunghi tempi di attesa nelle questure;
– Chiusura dei centri di detenzione (CPR) e la fine dei rimpatri
Consideriamo l’ iniziativa del 20 una tappa all’interno di un percorso che anche altre realtà stanno portando avanti in questa città e con le quali vorremmo approfondire e sviluppare un terreno comune di lotta capace di esprimere una forza sociale in grado di contrastare gli interessi padronali sempre più egemoni in ogni aspetto della vita.
Ci Siamo – Milano
cisiamoretemilano@gmail.com
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Bollettino sanità “TANTA SALUTE A TUTTI” NR.4

Proseguendo nel lavoro di controinformazione e intervento territoriale, la rete Tanta salute a tutti propone il quarto numero del bollettino, nato dal confronto e dall’esperienza delle realtà che la compongono. Lo scopo è offrire una lettura seppur parziale della distruzione del servizio sanitario nazionale mentre  in parallelo viene potenziato quello privato, promuovere iniziative e prospettive comuni per contribuire ad invertire il processo di dismissione della sanità pubblica.
All’interno del bollettino c’è il contributo di un esponente dell’Usi Sanità Milano, che spiega come l’Ospedale San Paolo sia diventato polo di riferimento per la medicina penitenziaria. Un contributo che ci permette di esprimere la nostra solidarietà ad Alfredo Cospito in lotta contro il 41 bis e l’ergastolo.
Trovate uno degli Sportelli Tanta Salute di Milano alla Panetteria Occupata il Martedì dalle ore 17 alle ore 19
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22 marzo: L’esperienza abitativa di Via Siusi non finisce con uno sgombero

Questa mattina alle ore 8,30 è  iniziato lo sgombero dell’ occupazione abitativa dell’ ex stabilimento San Carlo di via Siusi,  abbandonato da più di 20 anni.
Da ottobre 2020 in via Siusi abitavano circa 40 persone tra cui alcune famiglie con minori, provenienti dal Mali, Gambia, Marocco, Brasile. La maggior parte di loro ha i documenti, altri sono in attesa di riceverli, altri ancora aspettano la sanatoria dal 2020.  Lavorano  nel settore edile, delle pulizie e della logistica o come rider.
Nessuno di loro ha la possibilità di trovare nel mercato libero una casa in affitto sia per i costi esorbitanti sia  perché  il lavoro precario  che svolgono con contratti a breve termine  non rappresentano una garanzia per i proprietari di case.
Negli spazi di via Siusi inoltre, in questi anni, si sono svolte diverse attività  che hanno coinvolto il quartiere come la scuola di italiano, momenti ludici per bambini e incontri su lavoro precario, documenti, guerre politiche e  colonialismi.
Quella di via Siusi è  stata una comunità  che ha ricevuto forte solidarietà fin dall’ inizio dagli abitanti del quartiere che hanno contribuito, portando libri, indumenti e arredi, e  collaborando all’ attività della scuola di italiano.
Con lo sgombero di oggi, perdiamo un’ esperienza e  uno spazio importante per chi non ha casa a Milano. Tutto ciò accade in contemporanea con il “Forum dell’ abitare”  in cui l’ amministrazione comunale illustra le politiche abitative per il futuro di questa città. Un’  amministrazione che,  al contrario di quello che vuol far credere, non ha mai voluto ascoltare le voci di chi vive in prima persona il disagio abitativo.
Chiediamo a tutti solidarietà  per gli abitanti di via Siusi, sgomberati senza  che sia stata offerta una soluzione abitativa alternativa . Abitanti che rischiano con la perdita della casa,  di perdere lavoro e documenti e ritornare in una condizione di forte marginalità.
Vi aspettiamo  oggi 22 marzo, dalle  h.13 in via Carnia ang. Via Deruta al presidio di solidarietà a sostegno delle  sgomberate.
Rete solidale CiSiamo
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24 marzo: Al fianco di Alfredo e Vincenzo

L’ “Assemblea cittadina contro 41 bis e ergastolo” chiama ad un’ iniziativa sotto il Tribunale di  Milano in Corso di Porta Vittoria dalle ore 9:30

a sostegno – in solidarietà – al fianco di Alfredo e Vincenzo

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16 – 19 marzo: NELLA NOTTE CI GUIDANO LE STELLE

Sabato 18 marzo in Piazzale Loreto ore 14:30 partecipiamo al corteo nazionale “Antifascismo è anticapitalismo” per ricordare Dax, Fausto e Iaio …….

Riportiamo l’intervento fatto all’assemblea antifascista internazionale del venerdi 17 marzo al tavolo sulla repressione:

Come opera la Repressione! 
La Repressione è sempre attiva e rinnova le sue pratiche per rendere il controllo sociale e politico sempre più totale:
-nei confronti di ogni espressione e manifestazione di dissenso;
-per moderare il conflitto sociale e renderlo compatibile con l’ordine esistente.
Per svuotarlo dei contenuti di trasformazione sociale;
-per imporre ai movimenti rivendicazioni compatibili con l’ordine capitalistico
esistente;
-per individuare le “classi pericolose” e i soggetti che operano per un
cambiamento sociale.
Ragionare sulla lotta alla Repressione vuol dire affrontare un tema importante della lotta politica. La Repressione non è un fatto esclusivamente giudiziario, prima di tutto è un fatto politico. La sua azione si sposta verso l’individuazione delle “finalità” del tuo agire, non tanto del “fatto” che hai compiuto.
La repressione è da contestualizzare all’interno dello scontro di classe in atto.
Gli Stati adottano dispositivi repressivi per controllare e prevenire le istanze di lotta e organizzazione che si sviluppano. Il piano giuridico/legislativo è lo strumento strategico delle politiche di ristrutturazione in un lungo periodo di crisi aggravata oggi ancor di più dalla guerra in atto.
Esiste un progressivo inasprimento delle politiche repressive sia in Italia che a livello internazionale. Questo è un elemento strutturale.
E’ un processo che si sviluppa per “emergenze” e “campagne mediatiche” che ha avuto una accelerazione a partire dagli USA dopo l’11 settembre del 2001, ma la cui genesi ha inizio a metà anni ’70 con l’istituzione dei circuiti differenziati (art.90) e le carceri speciali per indurre al pentitismo e alla dissociazione le formazioni combattenti, sulle quali si abbatterono una sommatoria di ergastoli (16 compagni sono ancora in AS2 dopo 41 anni) e , dal ’96 con l’istituzione a carattere “temporaneo” del regime 41 bis per far fronte all’emergenza mafia ed allargato, successivamente, anche a fatti di “terrorismo” (da 20 anni 3 prigionieri delle Br-Pcc sono sottoposti a tale regime).
La crisi e la guerra permanente creano un contesto che permette la restrizione di spazi di libertà. Il livello della “repressione” è espressione di un rapporto di potere. Una serie di norme che vengono predisposte, che costituiscono un’armamentario che è a disposizione da utilizzare contro le lotte dei lavoratori sino alle lotte dei prigionieri. Il loro utilizzo dipenderà dai rapporti di forza che si creano a livello sociale. L’utilizzo della strumentazione legislativa, giudiziaria e repressiva può venire determinato dalla capacità di resistenza e di attacco da parte di chi è oggetto di questa repressione.
La repressione viene ideologicamente giustificata dalla “emergenza”: emergenza come paradigma per legittimare normative e atti che poi rimangono la regola, la “normalità”.
La tendenza all’autoritarismo non più strisciante oggi rappresentato dal governo
Meloni in Italia non è una prerogativa solo delle forze politiche del post-fascismo, ma una linea che iniziando dai Ministri dell’Interno Minniti fino a Piantedosi ha distinto le politiche repressive espresse da tutti i governi in modo bipartisan negli ultimi anni. Questo quadro generale di norme e leggi richiama alla “legalità della paura”. Un concetto che non riguarda solo l’Italia ma si può estendere al mondo occidentale.

Oggi parliamo di antifascismo, sono trascorsi quasi 80 anni dalla “liberazione” dal fascismo e dalla instaurazione della “repubblica democratica” in Italia; eppure in questo paese esistono ancora norme fasciste, o le stesse sono state la base giuridica di successive leggi che ne hanno allargato i soggetti sanzionabili e aumentato le pene.
Il codice fascista entrato in vigore il 1° luglio 1931, a firma del ministro della giustizia di allora Alfredo Rocco e di Benito Mussolini, contiene norme fasciste, ancora in vigore, come quelle sui reati associativi, sulla “pericolosità sociale”, quelle su “devastazione e saccheggio”, e tante altre, alcune perfino peggiorate di molto dalle leggi Cossiga della fine degli anni Settanta. Ma non finisce qui: sono tuttora in vigore le leggi che offrono pieni poteri alle forze dell’ordine: il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps- Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773), norme in piena violazione dei principi costituzionali, ma che permettono alla repressione di agire contro i soggetti impegnati nel conflitto
sociale e in azioni di protesta.

Due vicende a noi molto vicine, in cui si evincono i richiami del fascismo, sono quelle che mostrano l’esistenza di norme di carattere generale, nate in contesti emergenziali e quindi di natura temporanea, che assumono poi nel tempo valenza ordinaria sono quelle di Vincenzo Vecchi e di Alfredo Cospito. Vincenzo è uno dei 10 compagni condannati per la lotta contro il G8 a Genova nel 2001 per il quale e stato rispolverato l’articolo relativo a “devastazione e saccheggio”, successivamente largamente utilizzato per contrastare la lotta di strada ma anche per le rivolte nei Centri di detenzione per immigrati. Decine di anni di
carcere anche solo per “concorso” e imposizione dell’utilizzo nei paesi dell’Unione Europea del MAE (Mandato di arresto Europeo).

Alfredo, in sciopero della fame contro il regime carcerario del 41bis e contro l’ergastolo, è stato accusato di “strage politica” che non è mai stata utilizzata nemmeno contro gli stragisti della stazione di Bologna o di piazza della Loggia a Brescia o per piazza Fontana a Milano. Un reato introdotto nel periodo fascista, varato per la difesa dell’istituto statale. Il regime detentivo in 41bis aggrava la condizione carceraria estremamente feroce nel negare ogni rapporto con l’esterno partendo dai libri sino alla negazione di avere incontri con i propri cari, e rompendo i legami solidali tra detenuti.

Sempre pescando dal Codice Rocco e da tutto l’apparato repressivo in atto assistiamo all’applicazione di norme che aumentano il numero di reati che sino ad alcuni anni fa erano del tutto impensabili (esempio reato di solidarietà utilizzato a Ventimiglia contro il movimento No Borders e imposto alle ONG ed ai solidali che si battono contro il razzismo); reati che prevedono numerosi anni di reclusione.
Oltre a ciò si utilizza anche l’aspetto economico ed amministrativo sotto forme di
multe (largamente usate, soprattutto in periodo di Lockdawn, contro le manifestazioni di piazza), obbligo di firma, fogli di via, sorveglianza speciale.
Ricordiamo che un compagno di DAX, a seguito della notte nera del marzo 2003, è tutt’ora sottoposto al pignoramento del quinto dello stipendio , definibile come “ergastolo pecuniario”.

Anche in assenza di un conflitto sociale realmente di massa i meccanismi della repressione allargano le proprie maglie: provvedimenti coercitivi come fogli di via e divieti di dimora, sanzioni economiche spropositate, licenziamenti da posti di lavoro pubblici o privati, intimidazioni e schedature anche solo per avere partecipato ad assemblee ed iniziative.
Da questo quadro normativo e repressivo si ha una inevitabile ricaduta sulle lotte sociali che subiscono una forte criminalizzazione fomentata anche dai media e dalle comunicazioni social. Alcuni esempi:
– Val Susa – movimento No Tav contro il quale le forze dell’ordine e la
Procura da anni si scagliano con estrema ferocia
–  Lotte sul lavoro – facchini e logistica, con contrasto alle diverse forme di
lotta: come scioperi, picchetti e blocchi stradali, colpendo anche i singoli
sindacalisti,
– Lotte per la casa, esempio l’operazione repressiva con conseguenti
condanne al Comitato casa Giambellino-Lorenteggio
– Antifascisti
– Studenti
– Leggi contro le ONG per rendere sempre più difficili i soccorsi in mare
– Immigrazione-dai pacchetti sicurezza sino alle detenzioni amministrative
nei CPR
– Ambientalisti di Ultima Generazione: criminalizzazione della disubbidienza
civile e richiesta della sorveglianza speciale per un loro attivista.

A questo quadro si accompagna anche lo specifico inasprimento della
repressione carceraria: sovraffollamento, mancanza di condizioni igienico
sanitarie, alto numero di suicidi, ma anche la quotidiana repressione culminata
con i tredici morti del marzo 2020 nelle carceri di Modena e di Rieti.
Discutere questi temi, queste analisi e metterle in pratica è il compito che
abbiamo per costruire un terreno di resistenza alla repressione.
Il radicamento e la forza costruita a partire dai territori è l’unico argine per
contrastare la repressione!
Le lotte sociali per il diritto alla casa, alla salute, all’istruzione, alla salubrità
dell’ambiente, contro le violenze squadriste che fomentano diseguaglianze e
discriminazioni, necessitano di grande unità che va creata sui territori, nelle
strade anche attraverso reti di comitati, collettivi e reti di solidarietà.
Sostenere in modo incondizionato chi viene colpito dalla repressione. La
solidarietà internazionalista è un’arma!

Panetteria Occupata – Milano 17 marzo 2023

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