28 ottobre: Roma manifestazione nazionale a fianco del popolo Palestinese

Sosteniamo e rafforziamo la solidarietà internazionalista al popolo palestinese Sabato 28 ottobre a Roma manifestazione nazionale

questo il volantino della Panetteria Occupata distribuito nei nostri quartieri:

Quello che vediamo oggi in Palestina arriva da lontano, basta ricordare anche una sola delle tante “operazioni” portate avanti dallo Stato sionista israeliano con un numero di morti palestinesi che variava dai 2.000 ai 2.500 per volta ed alla quale veniva attribuito un simpatico aggettivo: falciare il prato.
Niente a che vedere con l’attuale aggressione a Gaza che sta causando un numero di vittime superiore alle 6.000, in maggioranza bambini e donne, con distruzione di ospedali, scuole, luoghi di culto oltre che di interi quartieri. Gaza è una prigione a cielo aperto dove in questo momento l’accerchiamento da parte delle truppe israeliane impedisce il rifornimento di tutti i beni di prima necessità oltre alla possibilità di provvedere alla cura delle migliaia di persone ferite.
Perché dunque proviamo stupore se i Palestinesi da 75 anni adottano ogni forma di resistenza oppressi da questa entità, nata nel 1948 da accordi coloniali europei e che oltre alla rapina delle terre, dell’acqua, delle risorse, ha pianificato l’espulsione della popolazione autoctona impedendone il ritorno?
Israele è uno “Stato” sionista su base confessionale che si basa cioè su principi come la
purezza del sangue, del popolo eletto, della terra promessa. Questo si traduce nell’esclusione e negazione di chiunque non sia, per discendenza diretta, di origine ebraica, in razzismo all’interno dello stesso “Stato” israeliano (cittadini di serie A e B), così come verso altre etnie (arabi).
La religione viene usata, strumentalmente, a giustificazione e fondamento per una politica
coloniale e razzista, discriminatoria e disumanizzante, di separazione/segregazione legale,
fisica e spaziale, di sfruttamento e de-sviluppo economico, di soppressione brutale di ogni forma di resistenza.
Non si può quindi associare l’antisionismo, la critica ad una politica coloniale di annientamento e bollare di anti-ebraismo chi la contesta.
L’ipocrisia dei paesi Occidentali è oggi sotto gli occhi di tutti con il suo silenzio di fronte alle violenze che la popolazione palestinese ha subito in questi anni di occupazione, pulizia etnica e apartheid.
Eppure l’esperienza della Resistenza in Italia dovrebbe aver insegnato che non è possibile
accettare acriticamente tutto quello che il nemico interno ed esterno dice, come quando un
tempo venivano etichettati gli eccidi di massa come “reazione/rappresaglia” alle operazioni partigiane, oppure quando appendevano ai corpi dei partigiani impiccati cartelli con scritto “Actung banditen”. Per questo dobbiamo cercare di analizzare e contestualizzare sempre le situazioni, ponendoci la domanda verso chi e cosa è esercitata una reazione? Che radici ha?
Nessuno può gioire davanti alla brutalità della guerra, ma è ipocrisia non riconoscere che di queste morti sono diretti responsabili i paesi occidentali, il capitalismo USA e quello dell’Unione Europea che accorre prontamente in difesa del suo alleato sionista. Responsabile è anche il nostro governo Italiano che sostiene senza nessuna critica l’operazione militare sionista di genocidio della popolazione palestinese nella striscia di Gaza e la continua repressione nei territori occupati di Palestina.
Il popolo palestinese ha il diritto alla difesa, ha il diritto alla Resistenza e le bandiere della
Palestina che sventolano oggi in tutto il mondo sono simbolo di resistenza e di lotta, messaggio di speranza per tutti gli oppressi. La lotta del popolo Palestinese chiama tutti noi ad intensificare la mobilitazione contro le guerre imperialiste ed insieme ad imporre la fine dell’aggressione di Gaza e la fine dell’occupazione sionista.
* A FIANCO DELLA RESISTENZA PALESTINESE
* SOLIDARIETA’ ALLA PALESTINA CHE SI RIBELLA ALL’OPPRESSORE PER
RICONQUISTARSI LA VITA E LA LIBERTA’

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immagini da Lambrate…Ortica ….

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19 ottobre: La casa è un bisogno basta speculazione

19 Ottobre ore 17:30 in Piazza della Scala a Milano manifestazione:
appuntamento metropolitano all’interno della mobilitazione nazionale sul diritto all’abitare!
LE NOSTRE RIVENDICAZIONI, LE NOSTRE PROPOSTELa casa è un bisogno fondamentale e non deve essere oggetto di speculazione: vogliamo soluzioni abitative dignitose per tutte le persone senza discriminazione di status (sociale, etnico, anagrafico…).Le speculazioni immobiliari private, in accordo con le amministrazioni pubbliche e i soggetti del terzo settore, stanno trasformando le città in base alle proprie esigenze di profitto, accerchiando i quartieri popolari, espellendone gli abitanti, devastando e saccheggiando anche dal punto di vista ambientale interi territori.Circa 200.000 lavoratori immigrati presenti nell’area metropolitana milanese, che nella maggioranza dei casi, lavorano con contratti brevi, a tempo determinato, e retribuzioni inadeguate non hanno accesso ad una casa dignitosa, non possono accedere a contratti d’affitto a causa dei costi troppo elevati e delle garanzie che vengono richieste (contratto di lavoro indeterminato e salario 3 volte superiore all’affitto).Tanti abitanti si scontrano con il razzismo di molti proprietari che non affittano a stranieri, anche in presenza delle garanzie.Lottiamo per:     • Bloccare immediatamente sfratti e sgomberi in assenza di una soluzione abitativa adeguata.     • Fermare la vendita delle case popolari e imporre l’ assegnazione di tutte quelle esistenti.     • Imporre che vengano effettuati piani di investimento per l’edilizia pubblica e opere di ristrutturazione e ammodernamento a basso impatto ambientale e  risparmio energetico per ridurre le spese alle famiglie.     • Fissare un tetto agli affitti sia pubblici che privati e porre dei limite agli affitti brevi.     • Ottenere una sanatoria delle occupazioni pubbliche.     •  Fermare la criminalizzazione delle occupazioni e degli abitanti; riconoscere la residenza e reintrodurre l’allaccio delle utenze (luce, gas, acqua) agli occupanti di stabili sia pubblici che privati; spezzare il circolo vizioso che alimenta illegalità, criminalizzazione, discriminazione.     • Assicurare il diritto allo studio attraverso l’assegnazione di alloggi agli studenti fuori sede e realizzazione di studentati pubblici a prezzi realmente accessibili.     • Garantire che   gli stabili privati, vuoti e inutilizzati da anni siano requisiti e destinarti  a scopo sociale e abitativo a canoni di edilizia sociali.     • Pretendere trasparenza dei dati sull’edilizia pubblica e residenziale, sugli alloggi disponibili e sulle assegnazioni; sulle ingiunzioni di sfratto pubbliche e private.     • Questa piattaforma segna un punto di convergenza tra diverse realtà ed è in continuo aggiornamento. Un appello alla lotta e all’organizzazione da subito.Profitto, privatizzazioni, speculazioni significano per noi sfruttamento ed esclusione. Vogliamo una vita degna: affitti più bassi, salari più alti, documenti per tutti.Rete per il Diritto all’Abitarereteperildirittoallabitare@gmail.com@rete_dirittoabitaremi
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14 ottobre: Manifestazione per la Palestina

sabato 14 ottobre 2023 migliaia di persone, con determinazione rabbia e gioia, hanno attraversato le vie di Milano in una imponente manifestazione a sostegno della Resistenza del popolo Palestinese, contro l’aggressione di Gaza, per la fine dell’occupazione sionista… a fianco della Resistenza!

riportiamo l’intervento della Panetteria:

In occasione dell’operazione “MARGINE DI PROTEZIONE”, iniziata nel luglio 2014, il
presidente del parlamento sionista Feiglin, scriveva a Netanyahu:
“Definizione dei compiti: Conquista di tutta la Striscia di Gaza e annientamento di tutte le
forze combattenti e dei loro sostenitori.
“Definizione dell’obiettivo strategico”: Per trasformare Gaza in Jaffa, una città israeliana
fiorente, con un numero minimo di civili ostili.
“Definizione di etica di guerra”:
Israele deve effettuare le seguenti operazioni:
l’IDF (esercito israeliano) designa alcune aree aperte al confine del Sinai, adiacente al
mare, in cui la popolazione civile sarà concentrata, lontano dai centri abitati che vengono
utilizzati per i lanci e i bombardamenti. In queste aree saranno stabiliti accampamenti di
tende, come rilevanti destinazioni di emigrazione. – La fornitura di energia elettrica e di
acqua per le zone già popolate verrà disconnessa………ecc. Coloro che insistono sul
soggiorno, se possono dimostrare di non avere alcuna affiliazione con Hamas, saranno
tenuti a sottoscrivere pubblicamente una dichiarazione di fedeltà ad Israele e ricevere una
carta d’identità blu simile a quella degli arabi di Gerusalemme est. Quando il
combattimento finirà, la legge israeliana sarà estesa all’intera Striscia di Gaza, gli abitanti
sfrattati dal Gush Katif saranno invitati a tornare ai loro insediamenti e la città di Gaza ed
i suoi sobborghi, sarà ricostruita come una vera città israeliana turistica e
commerciale…….ecc.”.
Piano che 9 anni fa ebbe come conseguenza per i Palestinesi 2.300 morti dei quali più di
500 bambini, oltre a 11.000 feriti, un’operazione definita dai sionisti “falciare il prato” e
nessuno degli ipocriti Paesi Occidentali ha mai espresso una minima preoccupazione
come quella che riempie le colonne dei giornali, le bocche dei politici, attualmente. Già,
perché la grande sofferenza del popolo palestinese poteva essere liquidata con la frase:
“si tratta di una rappresaglia israeliana” provocata dalla violenza dei “terroristi”
palestinesi.
L’ipocrisia dell’Occidente è anche ben rappresentata dalla Comunità Europea che dopo il
7 ottobre ha subito deciso di congelare e tagliare tutti gli aiuti ai palestinesi, aiuti garantiti
a suo tempo come impegno per implementare gli accordi di Oslo: 689milioni di euro,
nonché tutti i finanziamenti per i progetti della cooperazione. Solo la Spagna si è
pronunciata contro.
Decisione che fa il paio con la dichiarazione dei cinque governi di Gran Bretagna, Francia,
Usa, Germania e in coda, come sempre, quello italiano, di assumere un impegno di
sostegno e appoggio all’entità sionista che riguarda tutti gli ambiti: politico, economico e
bellico.
Ma quello che vediamo oggi arriva da lontano, dagli accordi segreti di Sykes-Picot del
1916 quando Francia ed Inghilterra frammentano e si spartiscono le province arabe del
Machrek e nel 1917, con gli accordi di Balfeur e l’ occupazione inglese della Palestina
appare chiaro lo scopo: garantire la nascita di un “focolare nazionale per il popolo
ebraico.

Di cosa ci stupiamo se i Palestinesi da 75 anni adottano ogni forma di resistenza,
compresa quella armata, vessati da entità, proclamata Stato, rigidamente strutturato,
nato, a tavolino, da accordi coloniali europei nel 1948 che possiamo definire un
colonialismo d’insediamento, che oltre alla rapina delle terre, dell’acqua, delle risorse ha
pianificato l’espulsione della popolazione autoctona impedendone il ritorno?
Ogni popolo ha diritto di decidere forme e modi in cui lottare, dobbiamo liberarci dalla
convinzione impregnata e frutto di una cultura coloniale, che crede di poter giudicare e
stabilire fino a che punto “i dannati della terra” possono osare liberarsi, solidarizzando
fintanto che lanciano pietre mentre i soldati gli sparano e le bombe gli cadono in testa e
criminalizzandoli se non, addirittura, prendendo le difese dell’occupante e il suo “diritto
alla difesa”- quando, oltre alle pietre, rispondono all’enorme armamentario di morte
utilizzato quotidianamente contro di loro, con strumenti offensivi e più potenti delle
pietre.
Ma, a quale diritto alla difesa di Israele ci si appella?
Lo stesso utilizzato per l’operazione piombo fuso, quello che ha permesso i massacri di
Sabra e Chatila o che giustifica le detenzioni amministrative, le carcerazioni di minorenni,
la stella di David impressa con uno strumento tagliente sul volto di un detenuto
palestinese sotto interrogatorio, le violenze sulle donne, i 53 minorenni uccisi
dall’esercito in Cisgiordania dall’inizio dell’anno, la distruzione degli ulivi, degli alberi da
frutta, delle case, i chekpoint, i giornalisti feriti o uccisi, le continue aggressioni dei
coloni, il lager a cielo aperto di Gaza, l’utilizzo del fosforo bianco, l’umiliazione quotidiana
a cui i palestinesi devono sottostare?
Ma abbiamo forse bisogno di ulteriori immagini per sentirci in pace con la coscienza,
oppure di precisare che siamo contro ogni violenza dimenticando quella che
quotidianamente si vive per mano dei padroni, dell’imperialismo, del capitalismo anche
nei nostri territori?
L’esperienza della Resistenza in Italia dovrebbe aver insegnato che non è possibile
accettare acriticamente tutto quello che il nemico interno ed esterno dice, come quando
venivano etichettati gli eccidi di massa come “reazione/rappresaglia” alle operazioni
partigiane, oppure quando appendevano ai corpi dei partigiani impiccati cartelli con
scritto “Actung banditen”. Per questo dobbiamo cercare di analizzare e contestualizzare
sempre le situazioni, ponendoci la domanda verso chi e cosa è esercitata una reazione,
che radici ha, quale lo scopo.
Non si può essere equidistanti di fronte ad una violenza coloniale che ha oppresso un
popolo che resiste da più di mezzo secolo ad ogni tipo di vessazione, criminalizzazione,
sopruso e distruzione, che ha visto togliersi la terra, il lavoro, il futuro, di cui si vorrebbe
negare la stessa esistenza.
Non si possono utilizzare due metri e due misure: scandalizzarsi e usare strumentalmente
i morti di una parte, quella dell’oppressore, quando quei morti sono la conseguenza della
rabbia, della violenza, delle morti, delle carcerazioni, delle lacrime versate e delle umiliazioni subite per anni ed anni da un popolo… grazie anche all’indifferenza di chi oggi
si indigna.
Nessuno gioisce davanti alla brutalità della guerra, ma è ipocrisia non riconoscere che di
queste morti sono diretti responsabili i paesi occidentali, il capitalismo USA che accorre
prontamente in difesa del suo alleato sionista, perché sulla pelle dei palestinesi, si gioca,
nello scenario geo-politico di guerra tra blocchi, il dominio nell’area medio-orientale e i
palestinesi rappresentano un problema, perché ancora non domati, una spina nel fianco
da eliminare.
Responsabilità che vivono nello sdoganamento di Israele, come “Stato democratico”, con
cui fare affari, accordi economici di cooperazione per progetti di milioni di euro con istituti
di ricerca o universitari, imprese industriali, per sistemi di produzione energetica innovativi ad alta efficienza; tecnologie dell’informazione e della comunicazione, comunicazioni di dati, software e cybersicurezza; spazio e osservazione della terra… i cui scopi, spacciati per miglioramenti in campo civile, sono in realtà largamente utilizzati per rafforzare l’armamentario militare e di controllo.
Quello che oggi possiamo fare, è lottare, qua, contro il capitalismo nostrano
riprendendoci tutto quello che è stato tolto (scuola, sanità, dignità, case e lavoro), lottare
contro un’ideologia che mistifica e avvelena la verità, portando con noi anche la bandiera
della Palestina, quale simbolo di resistenza e di lotta, messaggio di speranza per tutti gli
oppressi, per dare un segno chiaro su cosa intendiamo per “internazionalismo”.
In questo inizio di ottobre si è creato uno spartiacque ed è necessario capire da che parte
stare … per noi sicuramente non alla tavola del sionismo, dell’imperialismo e del
capitalismo, fieri e solidali con un popolo che, ancora una volta, si ribella all’oppressore
per riconquistarsi la vita e la libertà … Per loro stessi e per tutti noi.

intervento_14ottobre

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Stand up! E’ tempo di lottare – sulle prossime mobilitazioni

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I popoli in rivolta scrivono la storia. Intifada fino alla vittoria!

Siamo vicini e sosteniamo la lotta del popolo palestinese, la sua eroica Resistenza. Questa lotta è anche la nostra lotta. Partecipiamo alle iniziative  di sostegno e solidarietà che in questi giorni si stanno organizzando nelle diverse città italiane tra cui anche Milano. Rompiamo il muro della disinformazione.

Pubblichiamo il comunicato prodotto dai Giovani Palestinesi d’Italia sull’insurrezione popolare del 7 ottobre:

I POPOLI IN RIVOLTA SCRIVONO LA STORIA. INTIFADA FINO ALLA VITTORIA!

Il 7 Ottobre 2023 la Resistenza da Gaza ha scritto una nuova pagina della storia palestinese. L’operazione “alluvione di Al Aqsa” che ha portato alla distruzione del muro di filo spinato che imprigiona Gaza da 17 anni, alla presa di decine di colonie sioniste, al sequestro di più di 50 soldati, al sequestro di armamenti nemici e alla distruzione di carri armati e mitragliatrici, si inserisce in un quadro di lotta di liberazione e decolonizzazione della Palestina.
L’umiliazione inflitta all’esercito sionista israeliano dalla Resistenza palestinese è stata ieri e sarà ancora l’umiliazione di tutti gli eserciti imperialisti e colonialisti del mondo. Oggi siamo un passo più vicini alla completa liberazione della nostra terra, e nessuna risposta violenta da parte del colonialismo sionista potrà schiacciare la nostra volontà. Una volontà così poderosa che, nonostante 75 anni di pulizia etnica in cui il nostro popolo è stato imprigionato, umiliato, brutalizzato, ucciso e privato di ogni risorsa necessaria alla vita umana, la Resistenza palestinese ha aggirato con sbalorditivo successo uno dei servizi di intelligence più avanzati al mondo, obbligando alla ritirata una potenza nucleare su cui l’imperialismo nord-atlantico investe miliardi di dollari annualmente da tre quarti di secolo. La speranza e la fede nella vittoria che la Resistenza unita in tutta la Palestina infonde in noi, ha portato nelle piazze e nelle strade migliaia di persone nella Palestina occupata, così come in Yemen, in Giordania, in Tunisia e in moltissime città dentro e fuori il mondo arabo.
Oggi più che mai, sollevarci al fianco della Resistenza delle nostre sorelle e fratelli Gazawi, che hanno reso l’apertura di questa nuova pagina storica possibile e che ne stanno subendo le peggiori conseguenze, è un dovere morale. E infatti, il messaggio che ci arriva dalle piazze è chiaro e forte: i popoli che amano la libertà, stanno al fianco della Palestina.
Dal cuore economico e ideologico del sionismo in cui viviamo, il mondo occidentale, è necessario assumerci la responsabilità del ruolo che ricopriamo sullo scenario della Resistenza palestinese, come sullo scenario della resistenza internazionale contro l’imperialismo, il colonialismo e il razzismo. Oggi, come sempre, ci solleviamo senza paura, perché anche dentro ai canoni ingiusti di una fetta di mondo che con arroganza millanta di essere la culla di tutti i diritti, la nostra lotta è sacrosanta: è, infatti, la Convenzione di Ginevra del 1949 e il diritto internazionale scritto dai nostri colonizzatori a sancire che la lotta armata per la liberazione è un diritto protetto ed essenziale delle popolazioni occupate ovunque.
Mentre istituzioni statali e regionali, mezzi di informazione, e personaggi pubblici e politici fanno la corsa alla difesa del regime coloniale sionista, noi, come atto di resistenza, facciamo la presente chiamata a una settimana di mobilitazione contro l’occupazione e contro gli attacchi su Gaza, Jenin e la Palestina tutta. La lotta, dentro e fuori la Palestina, sul fronte armato, politico, mediatico, culturale ed economico, non si fermerà fino alla liberazione totale.

 

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2 ottobre: presidio per la liberazione di Khaled El Qaisi

LUNEDI 2 OTTOBRE SOTTO LA SEDE RAI DI CORSO SEMPIONE A MILANO DALLE ORE 18

LIBERIAMO KHALED!

Il 31 agosto scorso Khaled El Qaisi – cittadino italiano e palestinese, studente presso l’università Sapienza di Roma e traduttore appassionato di documenti storici palestinesi – è stato arrestato dalle autorità israeliane al valico di Allenby, tra Cisgiordania occupata e Giordania, senza che gli fosse contestato alcun reato, né tanto meno fosse formulata alcuna accusa.
Khaled si trovava ad attraversare detto valico in compagnia della moglie (italiana di professione insegnante) e del loro figlio di 4 anni.
Khaled è cresciuto neibterritori palestinesi fin dalla nascita e per tutta l’adolescenza, successivamente trasferendosi in Italia con la madre e il fratello, qualche anno dopo il decesso per malattia di suo padre Kamal El Qaisi, stimato sindacalista palestinese che ha contribuito per decenni alla crescita consapevole di una Palestina libera.
Dall’arresto del 31 agosto scorso Khaled è stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Petah Tikwa e sottoposto a continui interrogatori, in assenza totale di accuse formali, senza il sostegno legale di un difensore che potesse e possa affiancarlo, in spregio dei più elementari diritti alla difesa della persona. Uniche eccezioni al regime di totale isolamento (sofferto per le prime due settimane) e all’assenza di contatti con l’esterno (compresi i familiari più stretti) che perdura da circa un mese, sono rappresentate da due visite concesse al Console italiano presso il Consolato di Tel Aviv, e da due soli e brevi incontri con il proprio legale arabo-israeliano. Incontri dai quali, tra l’altro, i familiari e l’avvocato italiano di Khaled non hanno potuto apprendere nessuna informazione rilevante. Il legale arabo-palestinese, infatti, (così come tutta la stampa israeliana) è vincolato da un gag order, ossia da un ordine di bavaglio, che impedisce la divulgazione anche di quanto accade in sede di udienza. La detenzione è già stata prorogata tre volte e la prossima udienza è fissata per il primo ottobre all’esito della quale entro 48 al massimo 72 ore dovrebbe esserci una decisione delle autorita’ sui motivi del provvedimento del 31 agosto.
In Israele ci sono 967 palestinesi detenuti senza accuse formali. La reclusione è prorogabile di sei mesi in sei mesi per anni, è questa la detenzione amministrativa. Migliaia sono invece i giovani, le donne e gli uomini palestinesi detenuti nelle carceri dell’entità sionista. Sulla detenzione di Khaled è stato steso un velo di silenzio da parte dei mezzi di informazione italiana (giornali e tv etc…) mentre il governo italiano è sempre più allineato con quelli dell’occupante sionista israeliano e legittima questo arresto di un cittadino italo-palestinese. Per portare il nostro sostegno a Khaled, per rompere il muro di silenzio, per ottenere la sua immediata liberazione si stanno organizzando diverse iniziative. In particolare a Roma per Sabato 30 settembre alla sede Rai è stato indetto un presidio mentre qui a Milano un iniziativa simile viene organizzata per lunedi 2 ottobre.
Invitiamo tutt@ a diffondere e partecipare al presidio presso la sede RAi di Milano in Corso Sempione a Milano dalle ore 18

QUI TROVATE IL DOSSIER PRODOTTO DAL COMITATO PER LA LIBERAZIONE DI KHALED EL QAISI – un primo materiale utile per conoscere la situazione di Khaled e per organizzare iniziative di sostegno e solidarietà

Dossier

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29 agosto: MOBILITAZIONE IN RISPOSTA ALLO SGOMBERO DI VIA ESTERLE 15

MOBILITAZIONE IN RISPOSTA ALLO SGOMBERO DI VIA ESTERLE 15

MARTEDI 29 AGOSTO DALLE ORE 18:30

APPUNTAMENTO ALLA  ROTONDA DI VIA GIACOSA/VIA PADOVA

Rete per il Diritto  all’Abitare – Milano

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Appello dall’occupazione abitativa di via Esterle a Milano

Appello in vista dell’imminente sgombero dell’occupazione
abitativa degli ex bagni pubblici di via Esterle a Milano

Oggi, venerdì 25 agosto alle ore 17:00 inizierà una
mobilitazione cittadina a difesa degli abitanti dello stabile
comunale di via Esterle ai quali il Comune ha chiesto di liberare
lo spazio per consegnarlo alla Casa della Cultura Musulmana
che deve iniziare i lavori per la realizzazione della moschea.
Agli abitanti, lavoratori stranieri sottopagati con contratti di
lavoro di breve durata, non è stata proposta alcuna soluzione
abitativa alternativa nonostante da oltre un anno le persone che
abitano nello stabile e la Rete Solidale Ci Siamo avevano chiesto
all’Amministrazione di intervenire per evitare che nessuno
finisse in strada.

Nella città di Milano nessun lavoratore con condizioni simili a
quelle degli abitanti di via Esterle può permettersi di affittare
una casa o una stanza sia nel mercato libero che in quello
calmierato, ma neppure di accedere all’offerta di alloggi pubblici
limitata alle famiglie con minori o alle persone più povere e
fragili.
Per un lavoratore straniero questa condizione è aggravata da una
politica razzista e discriminatoria che impedisce o rende difficile
la regolarizzazione, che favorisce forme di lavoro precario e
sottopagato, che criminalizza l’immigrazione occultando le

proprie responsabilità nello sfruttamento delle risorse dei paesi
di origine di coloro che decidono di migrare.
Questa mobilitazione, con un presidio permanente davanti
all’ingresso dello stabile di via Esterle, vuole essere un segnale
chiaro e determinato di affermazione dei propri bisogni vitali
contro qualsiasi accettazione passiva che ci viene imposta; vuole
portare avanti e estendere il confronto e il lavoro collettivo
iniziato prima dell’estate tra varie realtà cittadine che hanno
costituito una rete per il diritto all’abitare e sottoscritto una
piattaforma di lotta.

Breve cronistoria dei recenti avvenimenti

Negli ex bagni pubblici di proprietà comunale, in disuso da più
di trenta anni, abitano da circa sei anni una quarantina di persone
provenienti perlopiù dall’Africa centrale.
Nel mese di marzo dell’anno scorso (2022) lo stabile è stato
messo a bando per destinarlo a finalità religiose e la gara è stata
vinta dall’Associazione Casa della Cultura Musulmana di via
Padova.

Subito dopo l’uscita del bando, la Rete solidale Ci Siamo, che ha
sostenuto l’occupazione di via Esterle, si è attivata per incontrare

il Comune di Milano al fine di trovare delle possibili alternative
abitative per tutte le persone che lì ci vivono.
I silenzi che sono seguiti alle nostre richieste di incontro e il
segnale dato in occasione dei sopralluoghi in via Esterle, quando
alle comunità religiose interessate al bando è stato concesso di
visionare soltanto la parte dei locali non occupati come se la
parte dello stabile con i suoi abitanti dovesse restare invisibile,
hanno mostrato l’indifferenza del Comune.

Un’ulteriore conferma di questo atteggiamento si è avuta nel
mese di maggio (2022) in occasione di una manifestazione
pubblica davanti Palazzo Marino per chiedere al Comune di non
alienare l’edificio o in alternativa di impegnarsi a trovare
soluzioni abitative alternative. Anche allora nessuno
rappresentate dell’Amministrazione comunale fu disponibile a
incontrare una delegazione di manifestanti.
Così a metà luglio (2022) fu fatto un presidio all’interno degli
uffici comunali di via Larga e ottenuto un primo incontro con
l’Assessorato alla casa del Comune di Milano. Da quel primo
colloquio ne sono seguiti altri, stimolati da altre manifestazioni
che si sono rese necessarie di fronte al ritorno al silenzio da
parte dell’istituzione comunale.
1.

Nel confronto con i diversi assessori e i vari dirigenti tecnici del
Comune è sempre stata presente una delegazione composta da
abitanti e attivisti, che ha ribadito le ragioni alla base di questo
percorso di lotta.
Si è sempre detto che nessuno è contrario a una moschea a
Milano, tanto più che la maggioranza degli abitanti è di fede
musulmana, che nessuno è particolarmente affezionato ai vecchi
e malandati locali di via Esterle, e che la permanenza in quegli
spazi è dovuta principalmente alla mancanza di alternative
abitative valide: trovarsi per strada senza un posto dove vivere
comporta la perdita in un tempo breve del proprio lavoro e
quindi anche dei documenti, in pratica significa tornare indietro
di anni, quando si era appena arrivati in Italia.
La non contrarietà al progetto comunale è stata dimostrata nei
fatti dando disponibilità ad accompagnare una delegazione di
tecnici della Casa della Cultura Musulmana all’intero dello
stabile per effettuare dei rilievi tecnici necessari alla
finalizzazione del bando, precisando che per organizzare quello
ed eventuali ingressi futuri non era necessaria la mediazione
della Questura di Milano che avrebbe spostato la questione dal
tema abitativo a quello dell’ordine pubblico.
2.

Lo scopo degli incontri con l’Amministrazione comunale non
era di chiedere una soluzione caritatevole né un’attenzione
privilegiata ma quello di far prendere atto dell’impossibilità di
accesso alla casa da parte di una gran numero di lavoratori, in
particolare immigrati, con contratti a termine di breve durata,
rinnovati a scadenza, e con salari bassi, di circa ottocento/mille
euro al mese. Non si tratta di un aspetto marginale, ma di un
problema ampio che riguarda la condizione lavorativa e abitativa
di migliaia di persone che sono impiegate in settori strategici
della più importante area metropolitana italiana.
Per questo motivo non è accettabile la criminalizzazione delle
occupazioni abitative che in questi anni hanno rappresentato
l’unica possibilità concreta di avere un tetto sopra la testa, degli
spazi e dei servizi minimi per poter vivere dignitosamente,
lavorare, rinnovare i documenti e mandare soldi alle famiglie nei
paesi di origine.
Una criminalizzazione che era sottesa nell’iniziale chiusura al
confronto da parte dell’Amministrazione comunale e che
lasciava presagire l’ennesimo sgombero a sorpresa che non
avrebbe dato agli abitanti nemmeno il tempo necessario a
riorganizzare la propria vita, a trasportare le proprie cose, a
trovare una nuova sistemazione provvisoria.
Esperienze che abbiamo già vissuto e subito una decine di volte
in sette anni, l’ultima lo scorso marzo (2023) con lo sgombero

dell’occupazione abitativa di via Siusi 12. Nei precedenti
sgomberi come anche in quest’ultimo l’unica soluzione concreta
è stata offerta dalla solidarietà degli abitanti di altre occupazioni
abitative che hanno accolto e ospitato le persone e le famiglie
buttate in strada affrontando così nuove difficoltà.

3.

Nel corso degli ultimi incontri (maggio-agosto 2023) abbiamo
fornito un censimento anonimo degli abitanti di via Esterle che
riportava notizie sui dati anagrafici, la nazionalità, il permesso di
soggiorno, il contratto di lavoro e il reddito medio annuo.
Una documentazione che era già stata inviata, come richiesto nel
primo incontro con l’Assessorato alla Casa (luglio 2022), a
Milano Abitare – l’Agenzia per l’affitto accessibile del Comune
di Milano, che sulla base di questa documentazione ci aveva
comunicato che soltanto coloro che avevano un contratto a
tempo indeterminato o determinato di un anno avrebbe potuto
iscriversi alla suddetta Agenzia per ricevere informazioni sulle
offerte di appartamenti a canone calmierati.
Nell’ultimo incontro avvenuto on line il 14 agosto 2023, in cui
erano presenti Marco Granelli Assessore alla sicurezza,
Lamberto Bertolè Assessore al welfare, Pierfrancesco Maran
Assessore alla casa, insieme a una delegata della vice sindaco
Anna Scavuzzo e a diversi dirigenti delle direzioni Sicurezza,

Casa e Welfare, ci è stato detto che le uniche soluzioni trovate
erano dei posti letto in alcuni pensionati e ostelli/alberghi
individuati dal Comune, di cui però erano certi solo 4/6 posti
presso il pensionato Belloni a 450 euro a persona, e la possibilità
di rivolgersi al Centro di via Sammartini per le persone senza
fissa dimora. Ma da una ricognizione che abbiamo fatto in
queste ultime ore i pensionati proposti dal Comune sono tutti al
completo mentre i costi degli ostelli sono di circa 24-30 euro al
giorno e in molti casi prevedono una permanenza di solo una
settimana.

Senz’altro più rilevante è stata la richiesta, più volte ribadita, di
lasciare vuoto lo stabile di via Esterle entro fine agosto in modo
da consentire l’ingresso dell’Associazione Casa della Cultura
Musulmana dal momento che alla stipula dell’atto di cessione
del diritto di superficie fra i due soggetti, avvenuta il 10 luglio
2023 (ma di cui siamo venuti a conoscenza solo il 31 luglio), il
Comune si è impegnato a consegnare lo stabile libero da persone
e cose entro trenta giorni, e che il periodo successivo al 10
agosto, giorno previsto per la consegna dei locali, rappresenta
una proroga concertata con la Prefettura di Milano.
Rete Solidale Ci Siamo
25 agosto 2023

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Pubblicato in Casa e territorio, Generale | Commenti disabilitati su Appello dall’occupazione abitativa di via Esterle a Milano

Solidarietà al popolo Palestinese … dal corteo sulla casa del 8 luglio

Riportiamo intervento fatto durante il corteo dell’8 luglio sulla questione abitativa:

In un precedente appello per una lotta di eguaglianza con la richiesta di documenti per tutte/i senza discriminazione, la Rete Solidale “Ci Siamo” scriveva: “ siamo lavoratori e lavoratrici allontanati/e dalle loro famiglie dal disastroso saccheggio colonialista, mandiamo avanti cantieri e magazzini, siamo riders e facchini, puliamo uffici e hotel, mandiamo avanti le cucine, accudiamo bambini ed anziani e ci spezziamo la schiena in campagna. E’ ora di unirci, di far sentire la nostra voce che è la stessa di tutte/i  le lavoratrici e lavoratori sfruttati, di mettere fine alle discriminazioni ed ai ricatti.
Parto da questo punto per parlare di un popolo, quello palestinese, che queste condizioni le conosce tutte da più di settanta anni, che vive in parte nella diaspora, nei campi profughi, che si vede negati i diritti più elementari e che è testimone del furto della sua terra, che non ha un’economia propria, espropriato dell’acqua, delle case e della propria storia, costretto ad affrontare la pulizia etnica e la gentrificazione.
Già un concetto che nelle grandi città ed in particolare a Milano che sta subendo lo stravolgimento di tutti i vecchi quartieri popolari, l’espulsione delle fasce di popolazione più deboli, conosciamo bene, ma che anche in Palestina dove Gerusalemme (Al-Quds) è l’esempio più eclatante che si sta verificando da tempo, portato avanti da un sistema coloniale capitalista.
Per comprendere la gentrificazione in questo contesto, bisogna analizzare le tattiche utilizzate dal sionismo e risalire alla filosofia di Theodore Herzl, il fondatore del sionismo, nella quale proclamava “Le terre private delle aree che ci sono state assegnate devono essere confiscate ai loro proprietari. Gli abitanti poveri devono essere rapidamente evacuati dall’altra parte del confine dopo che gli si è assicurato un lavoro nei paesi di destinazione. Gli verrà negato il lavoro nel nostro paese; in quanto ai grandi proprietari terrieri, finiranno per unirsi a noi.”
Istituita più di un secolo fa, questa strategia è il piano ufficiale su cui l’entità sionista ha lavorato a spese dei palestinesi, i residenti indigeni, anche nelle terre su cui l’occupazione non ha il completo controllo.
Molto semplicemente, uno stato espansionista coloniale opera portando dalla sua parte i
capitalisti palestinesi per mantenere sia la forza lavoro, che la popolazione palestinese sotto il suo
dominio.
Una penetrazione che si muove soprattutto con una triplice strategia: mediatica, politica e
militare. Per la parte mediatica, grazie all’uso dei mass media, il sionismo tenta di rendere
accettabili i propri crimini o meglio ancora di negarli, mistificando la realtà ed imponendo una narrazione in cui il sistema di occupazione delle terre palestinesi, il razzismo, le azioni che mirano all’allontanamento della popolazione autoctona, le torture, gli eccidi, sono solo il risultato del perenne tentativo di difendersi dagli attacchi del popolo palestinese.
Abbiamo visto in questi giorni a Jenin dove i sionisti hanno portato avanti un attacco violento alla città ed al suo campo profughi, con migliaia di soldati supportati da 15 ruspe militari che hanno letteralmente “arato” le strade principali della città distruggendo tutta la tubatura dell’acqua e delle varie infrastrutture, con un alto numero di morti “i martiri” come li definiscono i palestinesi e molti feriti alcuni dei quali in condizioni gravi.
Per la parte politica i sionisti hanno tessuto una fitta rete di accordi d’interscambio con i vari paesi, Italia compresa, che non riguarda solo l’aspetto militare o quello dell’esportazione di forme di controllo sociale e repressivo, ma la cooperazione scientifica con le varie Università (in Italia ricordiamo quelle di Torino, di Milano con il Politecnico in primis) per sviluppare programmi di ricerca congiunti. Stessa cosa che avviene in agricoltura e con i tentativi di infiltrarsi anche nelle questioni relative all’acqua, alla desalinizzazione, ecc.

Quindi noi qua cosa possiamo fare in concreto perché non sia solo una dichiarazione di
solidarietà?
LOTTARE per svelare le complicità, boicottare gli accordi scientifici e tecnologici, ma soprattutto lottare contro il capitalismo e l’imperialismo italiano, contro il razzismo. Per tutto questo siamo qui oggi e con le bandiere della Palestina.

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8 luglio – Manifestazione “La casa è un bisogno fondamentale ….”

La casa è un bisogno basta speculazione.
MANIFESTAZIONE
Sabato 8 luglio ore 17.00 
partenza Via Esterie-Mi
Questa piattaforma è una base di partenza e in continua elaborazione, di convergenza e rivendicazione  di diverse realtà collettive comitati di abitanti sindacati.
Siamo consapevoli che la radice del problema abitativo, come quello dello sfruttamento lavorativo e ambientale, nasce dal sistema capitalista nel quale viviamo e dalle sue politiche neoliberiste che anche nel territorio Metropolitano si estendono a tutti i settori del vivere, e considera la Casa terreno di speculazione ed estrazione del profitto (rendita) per pochi.
Lottiamo per:
Bloccare immediatamente sfratti e sgomberi se non c’è una soluzione abitativa alternativa degna per singoli e famiglie.
Impedire le vendita e tutte le altre sottrazioni di patrimonio delle case popolari, costruirne di nuove, ristrutturare quelle esistenti e assegnare tutte quelle vuote, con un’attenzione particolare ai soggetti più fragili.
Fissare un tetto agli affitti sia pubblici che privati per rispondere al bisogno abitativo di singoli e famiglie e porre dei limiti ai mercato degli affitti brevi.
Fermare le criminalizzazione delle occupazioni e degli abitanti, riconoscere le residenze e reintrodurre l’allaccio delle utenze (luce, acqua, gas) agli occupanti di stabili e alloggi pubblici e privati, spezzando il circolo vizioso che alimenta illegalità, criminalizzazione, discriminazione.
Eliminare le discriminazioni contro i più poveri e gli immigrati nell’assegnazione delle case popolari; le discriminazioni sociali, razziali e lavorative (negazione di documenti, bassi salari, contratti brevi) che impediscono, a circa 200.000 lavoratori immigrati presenti nell’area metropolitane milanese di accedere ad un lavoro e un’abitazione dignitosa e costringono, in migliaia, ad abitare in centri di accoglienza (CAS) in condizioni malsane, di sovraffollamento, sottoposti ad un controllo paracarcerario.
Garantire li diritto allo studio attraverso l’assegnazione di alloggi agli studenti fuori sede e realizzazione di studentati pubblici a prezzi realmente accessibili.
Arrestare e impedire le speculazione immobiliare privata che, in accordo con l’amministrazione Pubblica, sta trasformando le città in base alle proprie esigenze di profitto, accerchiando | quartieri popolari, espellendone gli abitanti, devastando e saccheggiando dal punto di vista ambientale interi territori.
Mettere al centro i bisogni delle persone contro gli interessi speculativi e costruire una maggiore consapevolezza attraverso un lavoro di mappatura, inchiesta ed analisi sul patrimonio immobiliare e le trasformazioni in atto, al fine di costruire risposte collettive per dere un indirizzo diverso alla realtà che abbiamo davanti.
Con questo appello vogliamo lanciare un messaggio di lotta e organizzazione da subito.
Rete per il diritto all’abitare reteperildirittoallabitare@gmail.com
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