Pubblichiamo il contributo della “Rete Tanta Salute a tutti” in occasione dell’incontro sulle “Diseguaglianze sociali e accesso alle cure” svoltosi domenica 10 Marzo 2024 all’ex Chiesetta del Parco Trotter:
Legandoci al tema dell’iniziativa di oggi, ovvero: “Diseguaglianze nell’accesso alle cure”, come rete che da tempo tenta di analizzare i processi di privatizzazione della sanità, ci è sembrato importante e urgente sollecitare una riflessione rispetto al DDL Calderoli che nella sua applicazione non potrà che accrescere le diseguaglianze già oggi gravi ed evidenti.
Abbiamo provato a fissarne alcune e la prospettiva che intravediamo è piuttosto allarmante, richiederebbe secondo noi un grande sforzo collettivo per invertire la rotta e impedire una riforma profondamente antisolidaristica dove la competitività è proprio l’essenza del pensiero che sta alla base dell’autonomia differenziata e il cardine su cui viene costruito tutto l’impianto normativo.
La riforma sull’autonomia differenziata delle regioni, ha già visto un primo passaggio al Senato, al quale seguirà un iter parlamentare e se approvata dalla camera, diventerà legge, probabilmente entro la primavera (prima delle elezioni europee).
Una legge che cambierà l’architettura istituzionale dello Stato e soprattutto la distribuzione delle competenze tra stato e regioni, in ottemperanza a quel terzo comma dell’art 116 della nostra carta costituzionale che prevede per le regioni a statuto ordinario, la possibilità di chiedere ulteriori competenze, oltre a quelle già esistenti previste dalla riforma del titolo V di 23 anni fa.
L’autonomia differenziata sarà quel Processo che consentirà alle regioni a statuto ordinario di poter fare tutto, dal legiferare in poi su ben 23 materie che riguardano la nostra vita quotidiana. La Lombardia ne ha chieste 20. Per citarne alcune, la sanità, l’istruzione, la tutela e la sicurezza del lavoro, l’alimentazione, l’ambiente, il governo del territorio, ecc. e ognuna di queste 23 materie ha dei sottotitoli, parliamo di quasi 500 competenze che passerebbero alle Regioni dallo Stato centrale.
Insieme alle competenze, le regioni potranno anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive, ma su base regionale.
Se nella nostra regione i livelli di inquinamento superano costantemente le soglie di sicurezza per la nostra salute, tanto per parlare di ambiente; se il governo del territorio ha finora consentito ai grandi gruppi immobiliari, ai fondi finanziari, etc di attuare enormi speculazioni sul nostro territorio edificando, cementificando e sottraendo spazio pubblico senza alcun freno, cosa succederà quando quei pochi vincoli oggi esistenti cadranno?
Se parliamo di sanità, il processo di privatizzazione già ampiamente portato avanti nella regione Lombarda in questi ultimi decenni, potrà compiersi senza più vincoli, aumentando di conseguenza le differenze di accesso alle cure che già esistono nel Paese.
Si avrà una legittimazione normativa della frattura nord sud, che comprometterà l’uguaglianza dei cittadini nel diritto alla salute e rafforzerà il fenomeno di migrazione sanitaria.
Con l’autonomia differenziata verrebbero assicurati maggiori finanziamenti alle regioni del nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta e meno a quelle del sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa.
L’autonomia differenziata come suggerisce la parola, differenzia i diritti delle persone e questo non succederà solo nel sud Italia. C’è un sud anche al nord, dove ad esempio ci sono comuni di montagna che hanno l’ospedale più vicino a due ore di distanza.
La forma di regionalismo sanitario già attualmente presente ha di fatto
ampiamente minato il SSN per come è stato concepito dalla legge 883 del 1978 e la recente pandemia ha chiaramente dimostrato come la sanità su base regionale non sia in grado di rispondere efficacemente ad un’emergenza nazionale in nessuna parte del Paese. Logica risposta a ciò che la pandemia ha mostrato avrebbe dovuto essere il ritorno ad un Sistema Sanitario Nazionale unico, non certo all’accelerazione della sua disgregazione attraverso il Regionalismo Differenziato.
Nel campo del lavoro, assisteremo invece alla stipula di contratti differenziati, attraverso una contrattazione autonoma regionale per quanto riguarda il personale scolastico e medico sanitario, se una regione ha disponibilità finanziaria potrà fare contratti integrativi regionali per il personale medico infermieristico, potrà organizzare autonomamente le scuole di specializzazione, potrà disporre di fondi integrativi per la sanità da destinare al comparto privato accreditato; se una regione vuole privatizzare completamente la sanità, lo potrà fare più di quanto lo
abbia già fatto.
Un processo che porterà inoltre al superamento del contratto collettivo nazionale, che indebolirà la rappresentanza e la funzione del sindacato e che metterà in competizione lavoratori con lavoratori, territori con territori, portando alla totale destrutturazione dell’insieme del sistema contrattuale. Inoltre, in una situazione di de finanziamento della nostra sanità pubblica che pone l’Italia ultima tra i Paesi del G7 per spesa sanitaria e di iniziative come la flat tax con un conseguente calo delle entrate fiscali dello Stato, non potranno che accentuarsi le
differenze regionali nell’erogazione dei servizi con l’attribuzione di maggiori finanziamenti pubblici in funzione all’adempimento sui Lep.
Altro aspetto su cui ci preme ragionare è appunto il passaggio dai Lea ai livelli essenziali di prestazione (Lep). I Lea sono i livelli complessivi con cui il servizio garantisce l’assistenza per una determinata situazione, sia essa una fragilità, una cronicità, una malattia oncologica o una situazione morbosa. L’assistenza a cui si riferiscono è quella sanitaria e anche quella sociale come enunciato da uno dei principi fondamentali su cui si basa il nostro Ssn che dice: “È un dovere integrare l’assistenza sanitaria e quella sociale quando il cittadino richiede prestazioni sanitarie e, insieme, protezione sociale che deve garantire, anche per lunghi periodi, continuità
tra cura e riabilitazione”.
Con i Lep si mette l’accento sulla singola prestazione perdendo di vista l’assistenza del singolo individuo nella sua peculiarità. L’assistenza sanitaria viene così trasformata in una somma di singole prestazioni. Quindi il rischio in questo sistema di conteggio all’americana è di spezzettare il servizio sanitario in mille prestazioni come
fanno le assicurazioni: ma il sistema sanitario non è un sistema assicurativo, fatto di tabelle, è un sistema in cui si affrontano i problemi complessivi dell’individuo. Con l’autonomia differenziata avremo venti diversi sistemi sanitari tanti quanti sono le Regioni, una situazione incompatibile con quella della professione medica la cui deontologia è assistere tutte le persone, indipendentemente dalle loro condizioni
sociali o dalla loro religione o dalla loro etnia. Le persone sono tutte uguali e hanno ugual diritto di assistenza sanitaria e sociale. Lo sforzo originario con l’istituzione del Ssn era proprio quello di garantire la salute del cittadino e della collettività in condizioni di eguaglianza.
Si peggiorerà ulteriormente la situazione che si è generata con la riforma del Titolo V che ha affidato la tutela della salute alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
Di fronte alla salute non possiamo pensare che l’assistenza erogata ed erogabile da un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico sia legata al ceto, all’istruzione e soprattutto alla posizione geografica di residenza. È inammissibile che il cittadino italiano nato in Lucania abbia una assistenza diversa dal cittadino italiano nato in Veneto.
Quello che però ci sembra importante al di là dei tecnicismi che si traducono in un peggioramento delle condizioni di vita che ogni riforma porta con sé, è chiederci cosa noi possiamo fare, consapevoli del ritardo e della frammentazione che purtroppo caratterizza la risposta a questo ulteriore attacco. Crediamo che qualsiasi iniziativa si voglia organizzare debba essere preceduta da un capillare lavoro di controinformazione sia rispetto alla privatizzazione della sanità pubblica che al tema dell’autonomia differenziata e al diritto alla salute.
Un diritto, quest’ultimo sempre più negato, se leggiamo i dati forniti da fonti autorevoli riportate sabato 2 marzo sul Manifesto, si possono leggere i dati dei decessi a Milano dovuti all’inquinamento, 1.600 all’anno per cause attribuibili al Pm 2.5 e 1.300 attribuibili al biossido di azoto, con una concentrazione maggiore nelle zone periferiche della città dove le strade sono più trafficate e le condizioni socio economiche rendono le persone più fragili e vulnerabili.
È evidente che viviamo in una società capitalista e imperialista, che mentre de finanzia la sanità pubblica, aumenta le spese militari rendendosi soggetto attivo nei molti conflitti che oggi il mondo vive, non ultimo il genocidio che si sta compiendo in Palestina.
Non possiamo aspettarci quindi nulla dalle nostre istituzioni, dalle loro politiche razziste e discriminatorie che ad ogni riforma o legge intensificano lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, privatizzano ogni settore che coinvolge le nostre vite e riducono gli spazi di agibilità politica al fine di attuare senza intoppi le loro strategie.
Spetta a noi trovare pratiche e modalità che ci permettano di lottare contro questo modello di società.
Rete tanta salute a tutti – Milano 10 marzo 2024