16 – 19 marzo: NELLA NOTTE CI GUIDANO LE STELLE

Sabato 18 marzo in Piazzale Loreto ore 14:30 partecipiamo al corteo nazionale “Antifascismo è anticapitalismo” per ricordare Dax, Fausto e Iaio …….

Riportiamo l’intervento fatto all’assemblea antifascista internazionale del venerdi 17 marzo al tavolo sulla repressione:

Come opera la Repressione! 
La Repressione è sempre attiva e rinnova le sue pratiche per rendere il controllo sociale e politico sempre più totale:
-nei confronti di ogni espressione e manifestazione di dissenso;
-per moderare il conflitto sociale e renderlo compatibile con l’ordine esistente.
Per svuotarlo dei contenuti di trasformazione sociale;
-per imporre ai movimenti rivendicazioni compatibili con l’ordine capitalistico
esistente;
-per individuare le “classi pericolose” e i soggetti che operano per un
cambiamento sociale.
Ragionare sulla lotta alla Repressione vuol dire affrontare un tema importante della lotta politica. La Repressione non è un fatto esclusivamente giudiziario, prima di tutto è un fatto politico. La sua azione si sposta verso l’individuazione delle “finalità” del tuo agire, non tanto del “fatto” che hai compiuto.
La repressione è da contestualizzare all’interno dello scontro di classe in atto.
Gli Stati adottano dispositivi repressivi per controllare e prevenire le istanze di lotta e organizzazione che si sviluppano. Il piano giuridico/legislativo è lo strumento strategico delle politiche di ristrutturazione in un lungo periodo di crisi aggravata oggi ancor di più dalla guerra in atto.
Esiste un progressivo inasprimento delle politiche repressive sia in Italia che a livello internazionale. Questo è un elemento strutturale.
E’ un processo che si sviluppa per “emergenze” e “campagne mediatiche” che ha avuto una accelerazione a partire dagli USA dopo l’11 settembre del 2001, ma la cui genesi ha inizio a metà anni ’70 con l’istituzione dei circuiti differenziati (art.90) e le carceri speciali per indurre al pentitismo e alla dissociazione le formazioni combattenti, sulle quali si abbatterono una sommatoria di ergastoli (16 compagni sono ancora in AS2 dopo 41 anni) e , dal ’96 con l’istituzione a carattere “temporaneo” del regime 41 bis per far fronte all’emergenza mafia ed allargato, successivamente, anche a fatti di “terrorismo” (da 20 anni 3 prigionieri delle Br-Pcc sono sottoposti a tale regime).
La crisi e la guerra permanente creano un contesto che permette la restrizione di spazi di libertà. Il livello della “repressione” è espressione di un rapporto di potere. Una serie di norme che vengono predisposte, che costituiscono un’armamentario che è a disposizione da utilizzare contro le lotte dei lavoratori sino alle lotte dei prigionieri. Il loro utilizzo dipenderà dai rapporti di forza che si creano a livello sociale. L’utilizzo della strumentazione legislativa, giudiziaria e repressiva può venire determinato dalla capacità di resistenza e di attacco da parte di chi è oggetto di questa repressione.
La repressione viene ideologicamente giustificata dalla “emergenza”: emergenza come paradigma per legittimare normative e atti che poi rimangono la regola, la “normalità”.
La tendenza all’autoritarismo non più strisciante oggi rappresentato dal governo
Meloni in Italia non è una prerogativa solo delle forze politiche del post-fascismo, ma una linea che iniziando dai Ministri dell’Interno Minniti fino a Piantedosi ha distinto le politiche repressive espresse da tutti i governi in modo bipartisan negli ultimi anni. Questo quadro generale di norme e leggi richiama alla “legalità della paura”. Un concetto che non riguarda solo l’Italia ma si può estendere al mondo occidentale.

Oggi parliamo di antifascismo, sono trascorsi quasi 80 anni dalla “liberazione” dal fascismo e dalla instaurazione della “repubblica democratica” in Italia; eppure in questo paese esistono ancora norme fasciste, o le stesse sono state la base giuridica di successive leggi che ne hanno allargato i soggetti sanzionabili e aumentato le pene.
Il codice fascista entrato in vigore il 1° luglio 1931, a firma del ministro della giustizia di allora Alfredo Rocco e di Benito Mussolini, contiene norme fasciste, ancora in vigore, come quelle sui reati associativi, sulla “pericolosità sociale”, quelle su “devastazione e saccheggio”, e tante altre, alcune perfino peggiorate di molto dalle leggi Cossiga della fine degli anni Settanta. Ma non finisce qui: sono tuttora in vigore le leggi che offrono pieni poteri alle forze dell’ordine: il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps- Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773), norme in piena violazione dei principi costituzionali, ma che permettono alla repressione di agire contro i soggetti impegnati nel conflitto
sociale e in azioni di protesta.

Due vicende a noi molto vicine, in cui si evincono i richiami del fascismo, sono quelle che mostrano l’esistenza di norme di carattere generale, nate in contesti emergenziali e quindi di natura temporanea, che assumono poi nel tempo valenza ordinaria sono quelle di Vincenzo Vecchi e di Alfredo Cospito. Vincenzo è uno dei 10 compagni condannati per la lotta contro il G8 a Genova nel 2001 per il quale e stato rispolverato l’articolo relativo a “devastazione e saccheggio”, successivamente largamente utilizzato per contrastare la lotta di strada ma anche per le rivolte nei Centri di detenzione per immigrati. Decine di anni di
carcere anche solo per “concorso” e imposizione dell’utilizzo nei paesi dell’Unione Europea del MAE (Mandato di arresto Europeo).

Alfredo, in sciopero della fame contro il regime carcerario del 41bis e contro l’ergastolo, è stato accusato di “strage politica” che non è mai stata utilizzata nemmeno contro gli stragisti della stazione di Bologna o di piazza della Loggia a Brescia o per piazza Fontana a Milano. Un reato introdotto nel periodo fascista, varato per la difesa dell’istituto statale. Il regime detentivo in 41bis aggrava la condizione carceraria estremamente feroce nel negare ogni rapporto con l’esterno partendo dai libri sino alla negazione di avere incontri con i propri cari, e rompendo i legami solidali tra detenuti.

Sempre pescando dal Codice Rocco e da tutto l’apparato repressivo in atto assistiamo all’applicazione di norme che aumentano il numero di reati che sino ad alcuni anni fa erano del tutto impensabili (esempio reato di solidarietà utilizzato a Ventimiglia contro il movimento No Borders e imposto alle ONG ed ai solidali che si battono contro il razzismo); reati che prevedono numerosi anni di reclusione.
Oltre a ciò si utilizza anche l’aspetto economico ed amministrativo sotto forme di
multe (largamente usate, soprattutto in periodo di Lockdawn, contro le manifestazioni di piazza), obbligo di firma, fogli di via, sorveglianza speciale.
Ricordiamo che un compagno di DAX, a seguito della notte nera del marzo 2003, è tutt’ora sottoposto al pignoramento del quinto dello stipendio , definibile come “ergastolo pecuniario”.

Anche in assenza di un conflitto sociale realmente di massa i meccanismi della repressione allargano le proprie maglie: provvedimenti coercitivi come fogli di via e divieti di dimora, sanzioni economiche spropositate, licenziamenti da posti di lavoro pubblici o privati, intimidazioni e schedature anche solo per avere partecipato ad assemblee ed iniziative.
Da questo quadro normativo e repressivo si ha una inevitabile ricaduta sulle lotte sociali che subiscono una forte criminalizzazione fomentata anche dai media e dalle comunicazioni social. Alcuni esempi:
– Val Susa – movimento No Tav contro il quale le forze dell’ordine e la
Procura da anni si scagliano con estrema ferocia
–  Lotte sul lavoro – facchini e logistica, con contrasto alle diverse forme di
lotta: come scioperi, picchetti e blocchi stradali, colpendo anche i singoli
sindacalisti,
– Lotte per la casa, esempio l’operazione repressiva con conseguenti
condanne al Comitato casa Giambellino-Lorenteggio
– Antifascisti
– Studenti
– Leggi contro le ONG per rendere sempre più difficili i soccorsi in mare
– Immigrazione-dai pacchetti sicurezza sino alle detenzioni amministrative
nei CPR
– Ambientalisti di Ultima Generazione: criminalizzazione della disubbidienza
civile e richiesta della sorveglianza speciale per un loro attivista.

A questo quadro si accompagna anche lo specifico inasprimento della
repressione carceraria: sovraffollamento, mancanza di condizioni igienico
sanitarie, alto numero di suicidi, ma anche la quotidiana repressione culminata
con i tredici morti del marzo 2020 nelle carceri di Modena e di Rieti.
Discutere questi temi, queste analisi e metterle in pratica è il compito che
abbiamo per costruire un terreno di resistenza alla repressione.
Il radicamento e la forza costruita a partire dai territori è l’unico argine per
contrastare la repressione!
Le lotte sociali per il diritto alla casa, alla salute, all’istruzione, alla salubrità
dell’ambiente, contro le violenze squadriste che fomentano diseguaglianze e
discriminazioni, necessitano di grande unità che va creata sui territori, nelle
strade anche attraverso reti di comitati, collettivi e reti di solidarietà.
Sostenere in modo incondizionato chi viene colpito dalla repressione. La
solidarietà internazionalista è un’arma!

Panetteria Occupata – Milano 17 marzo 2023

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