41 bis: quando lo stato d’eccezione diventa norma

Riportiamo l’intervento introduttivo all’incontro tenutosi domenica 27 novembre al Cox18

41 bis: quando lo stato d’eccezione diventa norma
Solidali con Alfredo, Juan, Ivan e Anna in sciopero della fame!

incontro promosso da: Panetteria Occupata, Archivio Primo Moroni, OLGa

Sono intervenuti: Flavio Rossi Albertini, Margherita Pelazza, Giuseppe Pelazza,
Frank Cimini, USI Sanità, Napoli Monitor, Si Cobas, Comitato di lotta Giambellino

sul sito di Cox18 trovate audio dell’intera iniziativa:

https://cox18stream.noblogs.org/post/2022/11/27/41-bis-quando-lo-stato-deccezione-diventa-norma/

Introduzione all’incontro del 27/11/2022 in Cox18

Così come abbiamo scritto nell’indizione di questo incontro, lo sciopero della fame ad oltranza di Alfredo Cospito, ormai al 39esimo giorno, e degli altri compagni che in solidarietà lo accompagnano, ha portato all’attenzione, anche di diversi  mass media, la questione dell’ art. 41 bis ovvero, del  regime di detenzione più drastico e punitivo applicato nel circuito carcerario, che si regge sull’assoluto isolamento fisico, sociale-mentale, attraverso la deprivazione sensoriale.

Un regime di tortura democratico, la cui finalità è quella  di cancellare l’identità del prigioniero per indurlo, con la coercizione dell’isolamento assoluto,  a collaborare.

L’Istituzione del regime detentivo previsto dall’art. 41 bis ha una genesi che parte da metà anni ‘70 con la riforma penitenziaria e che nel ’77 vede la costituzione delle carceri speciali, le “supercarceri”, gestite direttamente dai carabinieri alla direzione, allora, del generale Dalla Chiesa, a cui anni dopo, si aggiunge la formazione dei famigerati “braccetti della morte”, ovvero sezioni di massimo isolamento, e nell’82 si applica l’art. 90 della riforma carceraria che prevede, per supposte ragioni di ordine e sicurezza,  la sospensione di tutti i diritti garantiti dalla stessa legge.

Un inciso: Chi c’era senz’altro si ricorda della manifestazione a Voghera contro l’art. 90 e per la chiusura dei braccetti della morte, a cui lo Stato reagì mettendo in campo uno schieramento mai visto e una violenza inaudita.

Il 41 bis è la prosecuzione di questo dispositivo, infatti ne riprende anche la formulazione.

Cos’hanno in comune tutte queste disposizioni: carceri speciali, braccetti della morte, art. 90, art. 41 bis?

Nascono tutte come risposta eccezionale, “per casi eccezionali, limitati nel tempo” a una situazione definita “emergenziale” a cui lo Stato, soprattutto in una fase di crisi profonda deve far fronte per poter attuare i piani di ristrutturazione necessari al capitale per la propria sopravvivenza.

La risposta, può avere un duplice carattere: diretto o più propriamente preventivo a seconda dei periodi storici e dei rapporti di forza esistenti. Negli anni ’70, alle continue rivolte di massa, evasioni o tentativi di evasione dalle carceri organizzate e frutto dell’unione nella lotta fra detenuti comuni e prigionieri politici appartenenti soprattutto alle formazioni combattenti; a quello definito dallo Stato “terrorismo” rappresentato dalle formazioni armate in Italia all’indomani della strage di Capaci del 1992, alle politiche di contrasto alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, dopo l’attentato alle torri gemelli, negli USA del 2001, alla lotta al terrorismo internazionale, con la caccia all’islamico.

In questi decenni abbiamo visto l’approfondirsi e il consolidarsi dei dispositivi di segregazione carceraria attraverso sempre nuove emergenze a cui facevano capo i rispettivi pacchetti sicurezza le cui ricadute normative erano molto più ampie dell’emergenza del provvedimento stesso. (cioè dell’ oggetto del provvedimento).

Così, l’ emergenza si allarga e si estende e diventa cardine della governance di ogni governo. Si mettono in atto operazioni come “strade sicure”, militarizzando i territori attraverso l’utilizzo di sistemi di sorveglianza e la presenza dell’esercito nelle strade; si  gestisce l’ immigrazione attraverso l’istituzione della detenzione amministrativa e di veri e propri campi di internamento, al confine anche della legalità borghese, o come nel caso recentissimo della gestione pandemica emerge la natura autoritaria e disciplinatoria a cui sono state sacrificate reali necessità sanitarie.

Un aspetto che diviene sempre più evidente, è che la natura “limitata e circoscritta dell’emergenzialità” non ha invece scadenza diventando inesorabilmente norma con cui regolare le contraddizioni sociali.

  • Un meccanismo su cui si basa l’emergenza è la presentazione attraverso i mass media di un consenso generalizzato ad un allarme sociale che orienta l’opinione pubblica e ne diventa di fatto espressione.

Cambiano, di volta in volta, i paradigmi, se ne costruiscono di nuovi per motivare e fare accettare un approfondimento dei dispositivi  repressivi e di controllo tecnologico che istituzionalizzano la “normalità dell’emergenza” e lo stato di eccezione che diventa sinonimo di stato di polizia. Ciò avviene ormai in tutti i campi sociali: lavorativo, abitativo, sanitario, giovanile.

  • Tutto ciò è da considerare come parte integrante di un processo complessivo di ristrutturazione del capitale a livello globale dove prevale la tendenza ad un significativo salto tecnologico e militare che necessita, per concretizzarsi, di una popolazione addomesticata e passiva. Uno scenario di guerra, manifesta e latente, esterna ed interna, in cui è bandita ogni forma di critica.

Un contesto in cui l’accettazione anche parziale della narrazione dello Stato porta inesorabilmente alla desolidarizzazione, alla divisione del movimento di classe e al sostanziale reclutamento tra sue fila. si pensi  a quanto stia succedendo per la guerra tra Ucraina e Russia o quanto successo durante il periodo covid. Si impone un atto di adesione alle ragioni dello Stato, pena il trovarsi tra le fila dei “cattivi”, trattati come nemici dell’ordine pubblico e dello sviluppo e giudicati non in base a ciò che si fa ma per ciò che si è.

Significative in tal senso sono la condanna di primo grado per “associazione a delinquere” ai compagni del comitato di lotta per la casa del Giambellino; le medesime imputazioni toccate ai sindacati di base Si.Cobas e USB per le lotte nel settore della logistica; le denunce per associazione a delinquere ai disoccupati di Napoli e non ultimo il decreto anti-rave il cui scopo presumibilmente sarà in funzione anti-picchetto, presidio, nelle lotte più combattive.

Va detto inoltre che l’emergenza, caratterizzata dal tema della sicurezza e la rappresentazione del consenso costituiscono un volano per accelerare i processi, già in atto da tempo, di centralizzazione delle funzioni di comando che consente all’esecutivo di avocare a sé poteri decisionali straordinari in tutti i campi sociali.

Ci sarebbe molto da dire ma, in sintesi, appare evidente come questo faccia saltare le regole, seppur formali, di confronto e dialettica proprie di uno Stato che si vuole democratico. Nel caso del regime detentivo del 41 bis, per esempio, dal 2009 è il solo Tribunale di sorveglianza di Roma che decide in merito alla disapplicazione di tale regime e alla concessione di liberazione condizionale, misure alternative e di qualsiasi altro beneficio penitenziario. Nel caso della pandemia, ad esempio, vennero dati poteri straordinari di direzione al generale Figliuolo.

  • La battaglia di Alfredo e il senso di questa iniziativa:

La battaglia di Alfredo, di Anna, Juan, Ivan, è una lotta contro un regime carcerario inaccettabile, che deve essere abolito, senza distinguo, per tutti.  (regime a cui sono sottoposti detenuti con accuse di mafia, oltre ad islamici, anarchici, 3 compagni delle BR).

Pone come centrale la questione del carcere dalla sua punta più alta espressa dal 41 bis, passando per le sezioni AS (alta sicurezza, dove da quasi 42 anni sono reclusi compagni appartenenti a diverse formazioni combattenti), fino alle sezioni comuni, le cui condizioni sono venute alla ribalta nell’ultimo periodo solo a seguito delle rivolte durante il periodo covid e i continui suicidi.

Questo incontro, a più voci, vuol contribuire a far emergere cos’è il regime del 41 bis e il sistema carcerario in generale insieme alla necessità di far diventare la lotta contro il carcere, parte integrante della lotta di classe contro il capitale, unico e reale responsabile delle condizioni di sfruttamento, di povertà, delle devastazioni ambientali, del saccheggio dei territori e della repressione in atto.

È un auspicio a trasformare questa consapevolezza in percorsi di lotta.

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