Tra fascisti e repressione dello stato: Cuneo a Catanzaro due esperienze a confronto

Tra fascisti e repressione dello stato:
Cuneo a Catanzaro due esperienze a confronto

Sabato 8 febbraio,
Panetteria Occupata, via Conte Rosso 20 – Milano (MM Lambrate)

Ore 16.30: Incontro-dibattito con alcuni compagni di Catanzaro e di Cuneo
Ore 20.00: Cena a sostegno dei compagni di Catanzaro sotto processo.

La storia ci insegna che tanto più nei periodi di crisi lo stato si attrezza in tutti i modi possibili per impedire lo svilupparsi di istanze rivoluzionarie e per reprimerle; nello stesso tempo si attiva per contenere le lotte rivendicative nei confini corporativi favorendone le derive reazionarie e razziste.
Sia storicamente che nell’evidenza pratica attuale il fascismo e i fascisti rispondono a questa precisa funzione attraverso una bieca propaganda che fa dell’immigrato, dell’omosessuale, di chi lotta per cambiare l’esistente il nemico contro cui scagliarsi anche con aggressioni fisiche che non di rado finiscono con l’assassinio.
Mai come sotto il ventennio berlusconiano abbiamo assistito allo sdoganamento ufficiale di partiti ed esponenti del vecchio e nuovo fascismo che oggi assolvono al proprio ruolo godendo di coperture politiche e di finanziamenti. Il tutto col tacito consenso di tutte le varie forze politiche che si definiscono di centro-sinistra.
Ma che il fascismo sia la naturale continuazione della democrazia in tempi di crisi – e dunque una tendenza storica dello stato democratico borghese – è dimostrato tanto dal carattere filo-padronale delle politiche governative condotte tanto a destra quanto a sinistra (in tema di lavoro, casa, sanità, scuola, trasporti, immigrazione, ecc.) che da un rinnovato stato di polizia che attraverso la militarizzazione dei territori, le leggi di emergenza (ad esempio i “pacchetti sicurezza”) e il carcere cerca di imporre condizioni sempre peggiori di sfruttamento e di vita alla popolazione.
Non è certo un caso che al fianco dei fascisti ci siano sempre le forze dell’ordine e contrastarne l’avanzata spesso comporta processi, carcere preventivo, condanne e spese legali impossibili da sostenere. Oltre a fornire un esempio concreto di questa dinamica, le esperienze di lotta antifascista a Cuneo e a Catanzaro, seppur diverse in relazione alla storia pregressa di quelle città, possono senz’altro contribuire a mettere in chiaro i nessi che legano lo stato ai fascisti e la necessità di una lotta che sia al contempo antifascista e anticapitalista.
PANETTERIA OCCUPATA

Alleghiamo per dare un maggior inquadramento dei temi dell’iniziativa uno scritto da Catanzaro per l’inizio del processo e due interventi da Cuneo uno scritto prima e uno successivo alla sentenza di primo grado del processo che li ha visti coinvolti.

Un appello da Catanzaro
Il 2 dicembre 2013 (udienza poi rinviata al 13 marzo 2014 per incompatibilità del giudice che aveva fatto parte anche del collegio del tribunale delle libertà ed era tra coloro che avevano tolto le misure cautelari ai fascisti) inizia il processo contro cinque compagni imputati a vario titolo, dal concorso in rissa a quello in lesioni gravissime e plurime, per aver difeso la sede del Collettivo Riscossa dall’aggressione fascista perpetrata la sera del 30 ottobre 2010 a Catanzaro. Le pene che rischiano i compagni arrivano a 16 anni di reclusione e sanno di beffa, come pure il processo, che già di per sé rappresenta una pena.
Tutti sanno bene come sono andati i fatti del 30 ottobre 2010 a Catanzaro quando, durante un’iniziativa politica ed una cena di autofinanziamento, la sede del Collettivo Riscossa venne assaltata da un manipolo di fascisti, i quali, dopo aver infranto la finestra con il lancio di un mattone, non riuscirono a portare a compimento il loro chiaro intento di entrare e sfondare la sede, soltanto grazie alla pronta reazione dei compagni, che mise in fuga i male intenzionati. A distanza di qualche ora, i fascisti tornarono in maggior numero nei pressi della sede, accoltellando Ruben, con due fendenti alla schiena.
Già da quella sera si era assistito al solito copione della Polizia: l’identificazione dei compagni che andavano a trovare Ruben in ospedale; la perquisizione della sede del Collettivo Riscossa e il sequestro del simbolo di una falcetta appesa sopra la libreria autogestita; gli interrogatori per tutta la notte in Questura. A distanza di tre anni dai fatti, ecco aprirsi il processo: l’aggressione fascista è diventata la rissa tra balordi del sabato sera; gli aggrediti sono diventati gli aggressori.
Oggi la sede del Collettivo Riscossa è chiusa, il lavoro politico accanto agli studenti, ai lavoratori e in difesa del territorio sta incontrando una serie di difficoltà a ripartire, sia per difficoltà soggettive che oggettive.
Nello scrivere a fatica queste poche righe, non fosse altro perché si tratta di copioni triti e ritriti e perché non appartiene ai compagni lo stile di piangersi addosso, l’intento è quello di tenere un’attenzione attorno al processo che inizia, traendone, magari, spunti critici e costruttivi più generali; l’intento è quello di non lasciare soli i compagni, promuovendo anche azioni di autofinanziamento e solidarietà attiva, per sostenere le spese legali necessarie ad affrontare il processo.
Contro fascismo e repressione!

Catanzaro, 28 novembre 2013
I Compagni e le Compagne del Collettivo Riscossa

CUNEO:Antifascisti/e – anche nel terzo millennio.

Abbiamo scelto di non stare a guardare.
Abbiamo scelto il nostro lato della barricata.
Abbiamo scelto di prendere parte alla guerra sociale che minaccia questo vecchio mondo.
Per dignità – e anche per odio.
Donne e uomini « liberi che volontari si adunarono […] decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo »*.
* da un’epigrafe di P. Calamandrei.

Il 26 febbraio dell’anno scorso, il presidio democratico indetto in risposta all’inaugurazione, a Cuneo, di una sede di Casa Pound (i “fascisti del terzo millennio”, come si autodefiniscono), prende una piega inaspettata. Stanchi di ascoltare le sinistre chiacchiere del sindaco Valmaggia, un centinaio di irrequieti si dirige verso la fogna. Ne seguono scontri con la polizia, che come sempre difende i fasci. Risultato: due a zero – un fascista ed un carabiniere finiscono all’ospedale. Il 27 maggio è lo stato che attacca chi ha osato colpire i propri sgherri: carcere, arresti domiciliari, mandati di cattura per chi è riuscito a rendersi irreperibile, perquisizioni e denunce. Per chi, fra gli imputati, non ha patteggiato con la giustizia, il processo inizierà il 25 gennaio.
In un periodo in cui l’ordine costituito comincia a fare acqua da tutte le parti, scosso dalla rabbia di molti sfruttati, ecco che il potere torna a giocare la carta del (neo)fascismo, della guerra fra poveri. Si tratta del vecchio divide et impera, una strategia che purtroppo funziona bene. Quei quattro stronzi in camicia nera ci fanno solo ribrezzo e riteniamo, come tanti, che dovrebbero semplicemente essere spazzati via. Il problema di fondo, infatti, non sono tanto loro, quanto la società, democratica, di cui il fascismo è il prodotto ed una delle espressioni.
Al di là del sentimento di orrore per gli omicidi di un fascista alla Casseri, chiediamoci cos’è quel mondo che ha nutrito il razzismo assassino suo e di troppi suoi camerati, quel mondo in cui anche noi viviamo. Quanti milioni di persone, pur non sparando sugli immigrati, condividono ed alimentano l’odio verso ogni tipo di “diversità” – cioè verso ogni persona che non rientri negli standard propri alla mediocrità diffusa? I neofascisti a testa rasata sono pochi, ma le idee nefaste di cui si fanno interpreti si insinuano facilmente in quella zona grigia che è la cosiddetta opinione pubblica democratica. Ne è esempio il largo consenso di cui godono le campagne securitarie dello stato, la cui impronta razzista ha poco da invidiare ai programmi dei neofascisti. Questi ultimi si pongono poi come utili strumenti, avanguardia del razzismo istituzionale, con aggressioni, pogrom, omicidi. Insomma, tutto il lavoro sporco a cui i loro colleghi in divisa, toga o giacca e cravatta devono sembrare estranei.
Il fascismo è l’espressione più brutale e più grottesca dell’autorità, di una società fondata sul dominio dell’uomo sull’uomo (e sulla natura). Non ne è, però, la sola espressione disumana. Come potremmo dimenticare l’orrore quotidiano delle prigioni (democratiche)? I morti ammazzati nelle questure e nelle caserme (democratiche)? I “clandestini” (per la democrazia) annegati in mare inseguendo il sogno di una vita migliore? Oppure quelli uccisi nella strade delle nostre democratiche città, da un Casseri qualunque o da un qualche servo in uniforme? Nel primo caso la notizia fa scalpore, spesso nel secondo la vita di uno straniero irregolare non vale nemmeno un trafiletto in cronaca nera… È nelle società democratiche (o in via di democratizzazione) del XX secolo che il fascismo storico è nato. È nello stato democratico che il (neo)fascismo cresce rigoglioso. Questo mondo schifoso lo genera come pus infetto.
Il problema è proprio questa società che produce razzismo, sessismo, patriarcalismo, omofobia… tutta la panoplia dei sentimenti di odio nei confronti di chi non appartiene ad una supposta comunità o devierebbe da una fantomatica “normalità”. Un odio che, incitando alla guerra fra poveri (e non contro i veri responsabili della sopraffazione), si rivela essere un utile strumento per il mantenimento del dominio sociale.
Quella fra democrazia e fascismo è una falsa opposizione. Sono due forme intercambiabili e sovrapponibili di dominio. La prima è più presentabile, si fonda sul conformismo e l’abitudine a servire, uccide o lascia morire in silenzio e lontano dai riflettori. L’altro serve nei casi di emergenza, ammazza i poveri che hanno la pelle di un altro colore, governa con il terrore e costruisci campi di concentramento (ma ci sono campi destinati ai clandestini anche nell’Europa del XXI secolo). Sono il bastone e la carota… e tutti noi dovremmo essere l’asino mansueto e sottomesso!
L’antifascismo dei Valmaggia, del PD e della sinistra è una vergognosa operazione pubblicitaria. Quello che vogliono è soltanto salire su un palco e farsi applaudire, urlare al lupo cattivo e fascista, assicurarci che il buon poliziotto proteggerà la gente per bene e, poi, stigmatizzare il cattivo anarchico, il violento che infrange il dialogo democratico… Si appropriano, insudiciandola, della memoria di quanti hanno imbracciato le armi per abbattere la dittatura, anche molto prima dell’8 settembre ’43, anche dopo il 25 aprile ’45. Fra loro, molti erano gli anarchici, ancor più numerosi i comunisti, operai che credevano sinceramente di lottare per la rivoluzione, per un mondo migliore. Per tutti costoro abbattere il regime mussoliniano (e, durante i venti mesi di Resistenza “ufficiale”, cacciare l’occupante nazista) sarebbe stato solo il primo passo verso una rivoluzione che avrebbe segnato la fine dello sfruttamento. Quegli ideali sono stati traditi, spesso dagli stessi partiti “rossi”. Sotto colori democratici, l’asservimento delle masse è continuato e continua. Di fronte a loro, i rivoltosi di allora avevano le camicie nere e le guardie. Oggi abbiamo di fronte a noi la polizia e qualche volta, per ciò che questa non può permettersi di fare apertamente, qualche decerebrato che fa il saluto romano. In mezzo, oggi come allora, nessuna discussione, nessun compromesso possibile.
Antifascismo è impedire ai fascisti di prendersi lo spazio per diffondere il proprio veleno. Un veleno che viene dalla stessa fonte di quello di ogni stato, anche democratico: il principio di autorità ed il conformismo gregario che ne deriva. Impedirglielo per davvero, non con le fiaccolate e le firme in difesa della costituzione. Non appellandosi ad altri servi, in divisa, dello stesso stato. Impedirglielo anche con la forza, se necessario. Prima che sia troppo tardi e riescano ad imporre, ancora di più, il loro odio verso ogni diversità.

Per questo siamo solidali con i compagni e tutte le persone che saranno processate per gli scontri avvenuti a causa dell’inaugurazione della sede cuneese di Casa Pound. Siamo al loro fianco perché eravamo al loro fianco quel giorno, così come altre volte, nella lotta contro lo stato ed i suoi sgherri. Perché Casa Pound non dovrebbe riuscire ad aprire una sede, né a Cuneo né altrove. Semplicemente, i fascisti dovrebbero sparire dalla faccia della terra. Insieme ai loro burattinai.

Contro il fascismo – ma soprattutto contro il mondo che lo crea.
Morte al fascismo. Morte allo stato.
Per la libertà.
Individualità anarchiche.

CUNEO: PER FARCELA PAGARE
Un breve aggiornamento in merito alla sentenza di primo grado del processo per gli scontri in occasione dell’apertura delle sede di Casa Pound a Cuneo. In previsione di produrre, appena possibile, un testo che analizzi gli elementi più interessanti emersi dall’intera vicenda, pensiamo opportuno anticipare alcune considerazioni rispetto alla sentenza in sé, che ricordiamo ha portato alla condanna di tutti e 16 gli imputati a pene che variano da 1 anno (trasformati in 2 anni di libertà vigilata) ai 2 anni e 6 mesi di carcere (altri 3 imputati avevano scelto in udienza preliminare di patteggiare una condanna a 18 mesi e un risarcimento simbolico alle parti lese di poche migliaia di Euro).
Pene accompagnate da varie decine di migliaia di Euro tra risarcimenti a sbirri e fascisti e spese processuali. Certo, le pene detentive sono risultate decisamente ridimensionate rispetto a quanto chiesto dal Pm Francesca Nanni: forse anche al collegio giudicante è risultato un po’ esagerato pretendere fino a 7 anni e mezzo di galera per una mezz’oretta di tafferugli, ma non si può dire che ci siano andati leggeri, specialmente in quanto ai risarcimenti, dettaglio di cui vorremmo parlare in questo aggiornamento. Lasciando a parte i risarcimenti con cui le varie divise sperano di arrotondare lo stipendio, pure per l’immagine di Casa Pound i giudici della “Città Culla della Resistenza” hanno ritenuto si debba provvedere con un gruzzolo da 6.500 Euro.
Ora, per estorcerci tutti questi soldi (di cui ancora non abbiamo fatto bene i conti, ma dovrebbero ammontare più o meno a 100.000 Euro), la sentenza ricorre ad una serie di clausole che ci dovrebbero obbligare a sborsare. Ai condannati per cui è possibile la sospensione condizionale della pena, quest’ultima è stata subordinata al pagamento dei risarcimenti entro 90 giorni, per i risarcimenti a sbirri e fasci è stato disposto il pagamento in solido (ciò significa che la parte degli insolventi viene estorta da stipendi, beni mobili ed immobili di chi eventualmente ne dispone) con clausola di “provvisoria esecutorietà”, ovvero da pagare subito, ed infine per gli avvocati delle parti lese e 2 casi di risarcimenti minori è stato disposto il pagamento provvisionale, immediato, di una parte del conto.
Insomma, vogliono proprio farcela pagare, nel vero senso della parola. Poco importa se, secondo i tempi dei loro tribunali, ancora non siamo stati condannati in maniera definitiva visto che del processo si è concluso solo il primo grado… intanto cacciate i denari e poi si vedrà!
Al di là di ogni altra considerazione teorica o pratica che ci riserviamo per il futuro, ci preme con questo aggiornamento mettere in chiaro un paio di cose: nessuno, tra noi imputati che abbiamo affrontato il processo rivendicando collettivamente l’importanza di combattere il fascismo, verserà di sua spontanea volontà manco un Euro nelle tasche di tribunali, fasci, divise o loro avvocati; – per fare fronte alla loro estorsione legalizzata ci organizzeremo personalmente per condividere i disagi di chi sarà oggetto dei pignoramenti, senza chiamare le realtà antifasciste ad impegnarsi in iniziative di raccolta fondi.
Più che per chiedere soldi ci pare l’occasione per chiamare ad opere di bene che animino la lotta contro il fascismo e i suoi seguaci!
Da Cuneo, Città Medaglia d’Oro della Repressione.
18 dicembre 2013 Alcuni imputati

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