2 giugno: FESTA DELLA CONTROREPUBBLICA CORTEO A MILANO

2 GIUGNO – FESTA DELLA CONTROREPUBBLICA
CORTEO A MILANO
ore 15:00 in Piazzale ACCURSIO con termine in via Gallarate
alla CABI CATTANEO che produce e invia armi a Tel Aviv
Partenza: Piazza Accursio
Arrivo: Cabi Cattaneo

a fianco del popolo Palestinese solidali con la sua Resistenza.
33° manifestazione in piazza per la Palestina

BLOCCHIAMO C.A.B.I. CATTANEO, FINCANTIERI E LEONARDO

2 giugno 2024: la repubblica italiana compie 78 anni. Le rituali parate militari con cui viene festeggiata ci dovrebbero ricordare il suo ruolo di cane da guardia dell’imperialismo USA, servendo da portaerei della NATO nel centro del Mediterraneo. Senza dimenticare le politiche neocoloniali svolte in proprio, come in Libia.
Pochi invece conoscono il ruolo giocato dalla neonata repubblica nella nascita dello stato d’Israele, nel 1948, attraverso la collaborazione segreta di pezzi dell’esercito e della marina con le bande terroristiche sioniste che stavano compiendo la pulizia etnica del popolo palestinese, ovvero la Nakba (catastrofe).
In queste azioni ebbe un ruolo anche una fabbrica di morte, che si trova a Milano, a due passi da un centro commerciale, tra i complessi residenziali del Gallaratese.
La C.A.B.I. Cattaneo è un’azienda nazionale leader in progettazione, sviluppo e fornitura di mezzi subacquei per le forze speciali della marina militare, che tuttora coltiva lo storico rapporto con la marina israeliana.
In tempi recentissimi, da agosto 2023, CABI ha stretto un’alleanza con Fincantieri e il 12
dicembre 2023 ha presentato con Leonardo al Polo nazionale della Dimensione Subacquea della Spezia un mezzo declassificato per l’utilizzo di mini-siluri nei raid da parte della marina militare statunitense e di quella israeliana.
Ricordiamo che il 21 febbraio 2024 la modifica della legge 185/90 è passata al senato e il progetto di legge è stato presentato alla Camera. Se fosse approvato, sarebbe più difficile riuscire a ottenere informazioni sul traffico di armi. Grazie alla legge, sappiamo invece che dopo il 7 ottobre, con l’intensificazione del genocidio, il flusso di armi dall’Italia verso Israele è notevolmente aumentato nonostante le false promesse di Tajani e Meloni, e per questo riteniamo CABI, Fincantieri e Leonardo e le istituzioni direttamente coinvolte nel massacro dei palestinesi.
Gli accordi commerciali e di ricerca, insieme alla presenza delle navi della marina militare
italiana nel mar Rosso manifestano chiaramente la volontà del governo di continuare a essere complice del genocidio del popolo palestinese e del massacro di altri popoli per lo sfruttamento delle risorse e l’egemonia politico-militare nella logica imperialista, coloniale e capitalista dell’occidente, con Stati uniti ed Europa in prima fila.
La lotta contro l’occupazione e l’apartheid in Palestina è lotta per la liberazione dal
colonialismo, massima espressione del capitalismo, in cui la classe lavoratrice salariata è
sottoposta a condizioni di vita sempre più degradanti; è per la liberazione, lì come da noi, dallo sfruttamento e dall’oppressione sistemica su terra, corpi e spazi.

Non c’è libertà senza una Palestina libera

SCENDI IN STRADA CON NOI PER BLOCCARE LA C.A.B.I. CATTANEO

NOI NON SAREMO COMPLICI

Milano per la Palestina

 

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Milano Student Intifada

SOSTENIAMO LA LOTTA DI LIBERAZIONE DEL POPOLO PALESTINESE

SOSTENIAMO L’INTIFADA DEGLI STUDENTI

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Con “L’intifada degli studenti”

L’intifada degli studenti” , lanciata dai Giovani Palestinesi in avvicinamento al 15 maggio, giornata del ricordo della Nakba e resa ancora più necessaria dagli ultimi avvenimenti, con l’attacco a Rafah, si sta espandendo e ha raccolto l’adesione a livello internazionale degli studenti e delle studentesse di gran parte degli atenei e in molti casi dei docenti e del personale universitario. Appello che si caratterizza non come ricorrenza e ricordo, ma lotta, critica e ribellione contro il sionismo, le politiche coloniali, l’imperialismo Usa e il capitalismo europeo e italiano.

Tutta la nostra solidarietà attiva va a questi studenti e studentesse che, qui in Italia, così come in gran parte del mondo, coraggiosamente, nonostante la forte repressione, stanno occupando le università per imporre la fine degli accordi di ricerca e il disinvestimento dalle imprese che beneficiano delle attività con lo Stato sionista.

Siamo a fianco e con la resistenza del popolo palestinese, contro il genocidio coloniale in atto per mano del sionismo israeliano e con la complicità italiana, europea ed USA.

Paesi responsabili di fare affari, accordi economici di cooperazione per progetti di milioni di euro con istituti di ricerca o universitari, imprese industriali, per sistemi di produzione energetica innovativi ad alta efficienza; tecnologie dell’informazione e della comunicazione, comunicazioni di dati, software e cybersicurezza; spazio e osservazione della terra… i cui scopi, spacciati per miglioramenti in campo civile, sono in realtà largamente impiegati per rafforzare l’armamentario militare e di controllo.

Tecnologie, conoscenze e strumenti utilizzati per annientare, manu militare, la resistenza di un popolo e silenziare ogni voce critica e lotta contro l’occupazione e l’apartheid in Palestina, per la liberazione dal colonialismo, massima espressione del capitalismo e per la liberazione, lì come da noi, dallo sfruttamento e dall’oppressione sistemica su terra, corpi e spazi.

Così come viene espresso da Samah Jabr, psichiatra e psicoterapeuta, Direttrice dell’Unità di salute mentale del ministero della salute palestinese che è nata e vive a Gerusalemme est.:” Grazie alle loro energie, il loro idealismo, la loro empatia e la loro sete di giustizia, questi studenti e studentesse, i giovani in generale, hanno il potenziale per costituire una bussola morale per qualsiasi nazione. Il loro attivismo per la Palestina riflette un impegno per i valori universali dei diritti dell’uomo, della dignità e dell’uguaglianza. Inoltre, la loro volontà di sfidare le strutture di potere esistenti testimonia una profonda comprensione dell’interconnessione delle lotte globali contro l’ingiustizia”.

La solidarietà, così come ogni lotta contro lo sfruttamento, le condizioni di vita e di lavoro, in Palestina, da noi e in tutte le parti del mondo, sono un passo per rovesciare il racconto dell’oppressore e ridare verità, dignità e voce agli oppressi, un passo verso la costruzione di un mondo libero da ingiustizia, miseria, morte e oppressione.

Volentieri riportiamo qui di seguito, il comunicato dei Giovani palestinesi

Appello dei Giovani Palestinesi
L’INTIFADA DEGLI STUDENTI
DAGLI STATI UNITI ARRIVA IN ITALIA
QUEST’ANNO LA NAKBA NON SARÀ SOLO TRISTE RICORDO, MA GIORNATA DI LOTTA

Da novembre in Italia lə studentə stanno ininterrottamente manifestando nelle università per la Palestina. Assistiamo a una mobilitazione senza precedenti per la causa palestinese in Italia, con occupazioni e proteste che esigono con fermezza la cessazione degli accordi tra le università italiane e quelle israeliane, la fuoriuscita delle aziende belliche, in particolare la Leonardo, dagli atenei e dei militari dagli spazi accademici. Inoltre chiediamo la rottura di ogni collaborazione con ENI che, nel mezzo del genocidio palestinese, sigla accordi con Israele per l’esplorazione di giacimenti di gas nelle acque antistanti Gaza.

Negli ultimi mesi, la società italiana nel suo complesso, e lə studentə in particolare, si sono nettamente schieratə al fianco della resistenza palestinese e contro l’occupazione coloniale sionista. Nonostante ciò, i rettori e i senati accademici delle università, i ministeri e il governo stesso continuano ad opporsi alle nostre rivendicazioni, palesando una chiara presa di posizione ideologica e politica di complicità con Israele e le sue politiche coloniali e genocide in Palestina.

Nonostante ciò nelle ultime settimane abbiamo assistito a una vera e propria “intifada studentesca”, che si sta diffondendo globalmente, soprattutto negli Stati uniti, dove il livello del conflitto ha raggiunto una fase critica di rottura totale con l’establishment politico: questo è il momento perfetto per ottenere delle vittorie storiche che facciano avanzare la causa del popolo palestinese.

È giunto il momento di globalizzare la lotta studentesca per la Palestina e renderla un fenomeno di massa che coinvolga tutte le istituzioni accademiche dell’Occidente complici del genocidio. Unire gli sforzi è ora fondamentale per tutte le realtà solidali con la causa palestinese. Quello che viviamo è un momento critico storico per rinvigorire le nostre lotte comuni e per creare un fronte unito contro imperialismo e colonialismo. Lə nostrə compagnə negli Stati uniti, nonostante le violentissime repressioni, stanno continuando a resistere a testa alta. Noi non possiamo, e non dobbiamo essere da meno!

Il 15 maggio sarà il 76esimo anniversario della Nakba, ma quest’anno Israele non avrà motivo di festeggiare, poiché la fine del sistema coloniale è dietro l’angolo: dobbiamo infliggere il colpo finale al sionismo e ai paesi occidentali che lo sostengono e lo mantengono in vita! La mobilitazione studentesca deve fare un altro salto di qualità, contro il divieto di governi e rettori, contro ogni repressione, sull’esempio dellə nostrə compagnə negli Stati uniti. È ora il momento di scendere in campo e unire gli sforzi per portare un cambiamento che sia davvero reale e profondo nella nostra società.

Chiediamo a tutta la comunità accademica, a studentə, a professorə, a lavoratorə e a chiunque sostenga la nostra lotta di Liberazione, di convergere nelle università e accamparsi nei cortili finchè gli atenei non accetteranno una revoca totale di tutti gli accordi con le università israeliane, parte integrante del progetto coloniale sionista e risorsa fondametnale del sistema israeliano per l’attuazione della pulizia etnica in Palestina, di cui il genocidio a Gaza è solo l’ultimo e inquietante capitolo.

MOBILITIAMOCI TUTT3 PER CHIEDERE:
– L’arresto del genocidio, l’impedimento dell’invasione di Rafah e il supporto alla Resistenza palestinese;
– La risoluzione immediata di TUTTI gli accordi universitari con atenei e aziende ubicate in Israele e il boicottaggio totale del sistema accademico israeliano;
– La risoluzione dell’Accordo bilaterale di Cooperazione nel campo della Ricerca e dello Sviluppo Industriale, Scientifico e Tecnologico del 2000 tra Italia e Israele.

FUORI ISRAELE
FUORI LA NATO
FUORI I MILITARI
DALLE UNIVERSITÀ!

Appello dei Giovani Palestinesi Italia

L’INTIFADA DEGLI STUDENTI 
DAGLI STATI UNITI ARRIVA IN ITALIA
QUEST’ANNO LA NAKBA NON SARÀ SOLO TRISTE RICORDO, MA GIORNATA DI LOTTA

È giunto il momento di globalizzare la lotta studentesca per la Palestina e renderla un fenomeno di massa che coinvolga tutte le istituzioni accademiche dell’Occidente complici di genocidio. Unire gli sforzi è ora fondamentale per tutte le realtà solidali con la causa palestinese. Quello che viviamo è un momento storico che dobbiamo sfruttare per rinvigorire le nostre lotte comuni e creare un fronte unito contro imperialismo e colonialismo negli spazi liberi delle università. Lə nostrə compagnə negli Stati Uniti, nonostante le violentissime repressioni, stanno continuando a resistere a testa alta.

Noi non possiamo, e non dobbiamo, essere da meno!

TUTTE LE UNIVERSITÀ E TUTTE LE CITTÀ D’ITALIA DEVONO MOBILITARSI PER

– L’arresto del genocidio, l’impedimento dell’invasione di Rafah e il supporto alla Resistenza palestinese;
– La risoluzione immediata di TUTTI gli accordi universitari con atenei e aziende ubicate in Israele e il boicottaggio totale del sistema accademico israeliano;
– La risoluzione dell’Accordo bilaterale di Cooperazione nel campo della Ricerca e dello Sviluppo Industriale, Scientifico e Tecnologico del 2000 tra Italia e Israele.

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9 maggio: presentazione corteo DISARMIAMO LA FIOCCHI MUNIZIONI SPA

GIOVEDI’ 9 MAGGIO ORE 20:30 PRESENTAZIONE DEL CORTEO DISARMIAMO LA FIOCCHI MUNIZIONI SPA
Insieme all'”Assemblea permanente contro le guerre” di Lecco e “Milano per la Palestina” ne discutiamo a partire dalla storia della Fiocchi e dalla lotta antimilitarista nel Lecchese
alla Panetteria Occupata – Via Conte Rosso 20 – Milano

La “Fiocchi Munizioni”, che solo a Lecco conta oltre 800 dipendenti, è la 14ª azienda in Italia per autorizzazioni alle esportazioni di armi e munizioni.
Nonostante si pubblicizzi per “caccia e sport”, in realtà guadagna per il 70% dal settore “industria e difesa”, esportando ovunque proiettili di vario tipo e calibro, e persino granate da guerra.
La Fiocchi Munizioni si trova in via Santa Barbara a Lecco, nel rione di Belledo.
Per produrre morte ha saputo adattarsi ai padroni del momento ed assecondare i loro desideri.
La sua storia inizia nel 1876 a Lecco e nel corso della sua vita ha superato due guerre mondiali, guerra fredda, tensioni militari in mezzo
mondo e globalizzazione armata fino ad arrivare al prodromo della terza guerra mondiale che viviamo ora. E, in tutto ciò, ha continuato ad
ingrandirsi: ha filiali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Argentina e in Nuova Zelanda. I suoi proiettili arrivano ovunque.
Nel 2020 il 70 % della sua proprietà è passato alla multinazionale della guerra “Czechoslovak Group”, un’azienda di Praga che opera nei settori aerospaziale e difesa, con lo scopo di ingrandire ulteriomente il suo bacino di intervento.

La piccola provincia di Lecco lo scorso anno ha esportato verso tutto il mondo oltre 130 milioni di euro in armi e munizioni, con un aumento di quasi il 50% negli ultimi due anni: non si può più restare a guardare!

In questi tempi di guerra, è necessario partire dal qui ed ora per inceppare gli ingranaggi del militarismo mondiale, che vede gli oppressi
come pedine belliche sacrificabili. Per non divenire complici delle carneficine che stiamo vivendo in tutto il mondo è necessario agire, nelle proprie terre, contro tutti i produttori di guerra che ci troviamo attorno.

Per inceppare gli ingranaggi del militarismo mondiale, che vede gli oppressi come pedine belliche sacrificabili.
Per non divenire complici delle carneficine che stiamo vivendo in tutto il mondo.
Contro tutti i produttori di guerra che ci troviamo attorno.

Contro ogni guerra dei padroni
Al fianco del popolo palestinese
SABOTIAMO LA GUERRA

Partecipiamo al CORTEO SABATO 18 MAGGIO 2024 ORE 14 PIAZZA GARIBALDI LECCO

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25 APRILE CON LA RESISTENZA PALESTINESE

MILANO PIAZZA DUOMO ORE 13:30

25 APRILE CON LA RESISTENZA PALESTINESE

L’ormai incontrollabile espansione ed intensificazione dei conflitti bellici in atto nel panorama internazionale, la dilagante crisi degli attuali rapporti sociali e la crescente risposta repressiva delle istituzioni politiche liberali nei confronti dei movimenti di lotta e contestazione, ci impongono di superare la semplice commemorazione del passato e di riuscire ad avvalerci della storia per affrontare le contraddizioni del presente. Questa coscienza comporta la necessità di fondare la nostra partecipazione alla data del 25 aprile sulla rivitalizzazione del ruolo che la resistenza partigiana ha assunto nella liberazione, riconoscendolo come parte di un processo storico rivoluzionario che ha contrastato nei fatti il carattere imperialista e coloniale delle forze nazifasciste. La scelta di rimettere la resistenza al centro dell’Anniversario della Liberazione trova infatti le sue legittime motivazioni nella ripresa dell’emancipazione dei popoli e degli oppressi come principio che lega indissolubilmente le odierne lotte partigiane che stanno affrontando la miseria e le morti prodotte dal colonialismo, all’azione che ha combattuto l’occupazione in Italia. In un contesto in cui lo sfruttamento dei paesi soggiogati dall’imperialismo e il ricorso alla guerra si dimostra sempre di più come un fenomeno razionale determinato dalla necessità dei paesi capitalisti di estendere competitivamente il loro controllo, contrastare le scelte e le forze politiche che sanciscono questi meccanismi attraverso un’ipotesi rivoluzionaria è l’unica strada per perseguire la volontà di pace e giustizia sociale che ha guidato la resistenza italiana. La presa di posizione contro l’oppressione dei popoli non è dunque una formula astratta, ma la più concreta decisione di organizzarsi per sostenere con ogni mezzo chi decide di sottrarsi allo sfruttamento. Il popolo palestinese che, privato delle proprie terre, dell’accesso alle risorse e costretto alla segregazione, mai ha smesso di credere nel riscatto, rappresenta un importante esempio di lotta partigiana. Sostenere la resistenza che da 75 anni prosegue contro l’occupazione sionista supportata dai paesi NATO, mossi dall’esigenza sistemica di perpetrare politiche egemoniche sul Medio Oriente, è infatti un dovere politico al quale non ci si può sottrarre. Noi riteniamo che chiunque si riconosca nell’eredità lasciata dalla lotta per la liberazione debba rifiutare la guerra imperialista in quanto strumento di oppressione e sfruttamento e schierarsi in contrasto con il governo italiano e tutti quei partiti, tra cui il Partito Democratico, che da decenni si avvalgono di questa data per portare avanti una narrazione copertina di uno Stato libero, cercando di nascondere le politiche imperialiste di cui sono complici, e strumentalizzando quindi, ancora una volta, la lotta portata avanti da chi sosteneva istanze di effettiva liberazione. Questa pratica di privazione del suo vero significato al 25 aprile è strettamente funzionale agli interessi del centrosinistra, che, sotto lo slogan dell’antifascismo istituzionale, si contrappone al governo attuale solo in maniera formale, pur condividendone pienamente tutte le politiche economiche, sociali e internazionali. Se anche quest’anno il corteo verrà guidato da tali elementi, più che mai le categorie oppresse si ritroveranno estranee in un ambiente che dovrebbe celebrare le loro stesse lotte: non possiamo permettere che accada. Non possiamo permettere che ancora una volta questa giornata sia costellata di bandiere di Israele e della NATO, ormai normalizzate al suo interno: è un affronto troppo audace nei confronti di chi sta portando avanti oggi una vera Resistenza. A testa alta denunciamo quindi la responsabilità politica di chi vuole strumentalizzare questa giornata per promuovere messaggi guerrafondai, equiparare l’antisemitismo alla strenua opposizione alle politiche criminali e genocide di Israele, e affiancare la lotta partigiana ai soli schieramenti militari utili al disegno criminale imperialista e capitalista, come quelli in Ucraina. Se dunque l’ANPI vuole davvero soddisfare il compito storico che dice di portare, deve avere la forza morale di schierarsi a fianco di tutti gli oppressi nella loro ricerca di libertà per poter esprimere il proprio diritto all’autodeterminazione: un popolo occupato non può dedicarsi alla propria costruzione e al proprio sviluppo. Lottare per la propria sopravvivenza è tutto ciò che gli rimane. Finché c’è occupazione, qualsiasi altro dibattito è sterile. Lanciamo un appello sincero ad ANPI, a tutti i compagni, a tutti coloro che si riconoscono negli ideali profondi del 25 aprile, di non abbandonare la piazza in mano ai complici di guerra e genocidio: prendete le distanze dalla propaganda filo-imperialista e filo-sionista. Noi oggi, e il 25 aprile in piazza, chiediamo a tutti coloro che davvero comprendono il significato della parola resistenza di stare al fianco del popolo palestinese e di trovarsi con noi in piazza Duomo alle 13:30 con bandiere, kufiyye e tutti i simboli palestinesi possibili per ribadire a tutti che il 25 aprile non può essere una mera sfilata, ma la giornata degli oppressi contro gli oppressori. Inoltre, uno Stato, quale è quello italiano, che si professa portavoce dei valori della Resistenza non può processare la resistenza stessa: chiediamo quindi la scarcerazione e la liberazione dei compagni Anan, Ali, Mansour e Luigi!

PER UN 25 APRILE CON LA PALESTINA, PIAZZA DUOMO ORE 13.30

La resistenza non è soltanto memoria, ma è oggi. Palestina libera!

Giovani Palestinesi d’Italia – GPI – Unione Democratica Arabo Palestinese – UDAP
ADL Cobas – Cambiare Rotta Organizzazione giovanile comunista – Camera del Non Lavoro – Centro Occupato Autogestito Transiti 28 –  LUMe Autogestito – Marciona – Milano per la Palestina – Opposizione Studentesca d’Alternativa – Panetteria Occupata – Partito dei CARC – Potere al Popolo Milano – Rete dei comunisti Milano – Struttura Organizzata Futura – Unione Sindacale di Base

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23 aprile: Assemblea pubblica

Martedì 23 Aprile, ore 20.30
ASSEMBLEA PUBBLICA

A fianco della Resistenza Palestinese e dei popoli che lottano contro colonialismo e guerre imperialiste.

Per attualizzare i valori della lotta partigiana contro il nazi-fascismo di ieri sostenendo le lotte di oggi sul lavoro, per la casa, nelle scuole, sulla sanità, sull’immigrazione, contro la repressione, nei territori.
Per rispondere al forte attacco alle condizioni di vita da parte dei Governi nazionali e sovranazionali e dalle organizzazioni padronali.

Partecipiamo al CORTEO DEL 25 APRILE
insieme alle organizzazioni palestinesi!

Organizziamo la resistenza proletaria alla crisi, alla guerra e al capitale!

alla Panetteria Occupata
via Conte Rosso 20, Milano

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Per il 25 Aprile – All’Anpi Milano e Nazionale

Riprendiamo un contributo di riflessione inviato all’Anpi per la celebrazione del 25 aprile 2024. Un contributo rivolto a tutti quelli che in quella giornata vi prenderanno parte, un contributo per ribadire il sostegno alla lotta del popolo palestinese e di tutti i popoli oppressi contro chi oggi, ancora, continua in un opera di colonizzazione e di sterminio.

All’ ANPI – MILANO

All’ ANPI NAZIONALE

riteniamo inevitabile inviarvi questa elaborata riflessione, sebbene non inedita, resa urgente in ragione dell’attuale drammatico scenario internazionale, con espresso riferimento al genocidio in atto ai danni del popolo palestinese e la portata del termine deriva la sua forza dall’autorevolezza della fonte che lo ritiene plausibile. Il XXV Aprile per gli taliani antifascisti rappresenta l’essenza dei valori che ci accomunano, vale a dire la libertà dall’oppressione nazifascista conquistata grazie alla lotta ed al sacrificio dei partigiani, mai inclini a soggiacere al terrore.

La Resistenza, quindi, contro un modello di società ingiusto, ineguale, abominevole e la volontà di costruire, insieme, un mondo ispirato a principi di solidarietà, eguaglianza, giustizia, senza padroni, liberi tra uguali; valori universali fatti propri dalle coscienze che impongono, oggi più che mai, di scendere in piazza a manifestare l’orgoglio di chi si sente di appartenere alla razza umana, senza distinzione di etnie, credo religioso, colore della pelle, ceto sociale; uniti dal senso di giustizia e dalla presa di posizione a favore di tutti i popoli oppressi.

In tale contesto e con simili premesse, per decenza, non può essere annoverato Israele e tollerata la presenza alle manifestazioni indette per rinnovare la portata del valore della Resistenza di coloro i quali, anche indirettamente, propagandano la loro affinità ad un Governo il cui scopo dichiarato è quello di annientare un altro popolo, annettendosi la sua terra di appartenenza.

Israele si raffigura come l’essenza della negazione di ogni idealità legata al senso di Giustizia (sociale e legale) -di Libertà-Uguaglianza-Rispetto altrui- Umanità.

Sfruttando l’antecedente storico della Dichiarazione Balfour del novembre 1917 David Ben Gurion, presidente dell’Agenzia ebraica e leader dell’Organizzazione sionista, il 14 maggio 1948, unilateralmente, proclamò la nascita dello Stato di Israele, senza nessuna indicazione dei suoi confini, viatico di futura espansione oltre la linea di partizione sancita dalla Risoluzione ONU n. 181 del novembre ’47.

Nella Dichiarazione di fondazione si legge, tra l’altro:” Questo riconoscimento del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico ad essere indipendente nel proprio Stato sovrano. Facciamo appello al popolo ebraico, ovunque nella Diaspora, affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell’immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell’antica aspirazione: la redenzione di Israele”.

Il richiamo contenuto nella Dichiarazione all’elaborazione di Theodor Herzl “precursore di una concezione dello Stato ebraico” esplicita la filosofia connessa allo svilupparsi del paradigma rappresentato dal principio sionista che tutto regola, tutto uniforma.

La logica sionista di eliminazione dei nativi, tradotta nello slogan del massimo della terra con il minimo dei palestinesi, si è storicamente manifestata attraverso diverse forme: la creazione di un insediamento ebraico separato ed esclusivo durante il periodo del Mandato britannico sulla Palestina, l’espulsione di massa e manu militari dei nativi dalla terra nel 1948 e nel 1967, le forme odierne di pulizia etnica strisciante, le politiche di memoricidio, la distinzione tra cittadinanza israeliana e nazionalità ebraica (lo Stato appartiene solamente alla nazione ebraica) che relega i cittadini non ebrei ad uno status di seconda classe. E poi la separazione/segregazione legale, fisica e spaziale (dai cantoni in Cisgiordania al campo di concentramento di Gaza) le politiche di de-sviluppo economico, la retorica e le pratiche discriminatorie e disumanizzanti, la negazione del diritto al ritorno dei profughi e la soppressione brutale di ogni forma di resistenza, soltanto per citarne alcune (tratto da “Il Ponte-genn/febb.2020 Enrico Bartolomei).

Sul punto: diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi (persone di origine araba, compresi i discendenti, costrette ad abbandonare le proprie abitazioni durante la Nakba e successivamente nel 1967) già nel ’48 le Nazioni Unite con la risoluzione 194 statuirono: “i rifugiati che intendono tornare alle proprie case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbero poterlo fare nel più breve tempo possibile ”. Israele ha impedito che ciò potesse realizzarsi mediante normative ad hoc, vedasi “la legge sulla nazionalità israeliana” (14 luglio 1953) volta a proibire ai 750.000 palestinesi con cittadinanza e passaporto della Palestina mandataria fuori dal territorio dello Stato, di far domanda di cittadinanza; la confisca e la vendita delle loro proprietà, l’inibizione al ritorno, come da espresso dettato di legge: “The Prevention of Infiltration (1954)” mirante a criminalizzare il rimpatrio dei rifugiati palestinesi autorizzandone l’arresto ed, eventualmente, la nuova espulsione.

La contraddizione in termini insita nella definizione di Israele come Stato ebraico e democratico trova la sua più palese conferma nel momento in cui la Knesset, spudoratamente, svela l’intrinseca natura del relativo Governo quale Entità etnica votata all’apartheid emettendo, il 19 luglio 2018 la “Legge fondamentale: Israele -Stato nazione del popolo ebraico”, legge che và ad aggiungersi alle precedenti 13 “fondamentali” aventi funzione di Costituzione non scritta.

Una terra proclamata “patria storica del popolo ebraico” (ove per popolo si intende anche quello presente in tutto il mondo, già giovato della “legge del Ritorno” che automaticamente garantisce il diritto di cittadinanza) ed Israele “Stato-nazione esclusivo del popolo ebraico in cui esso soddisfa il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione” principio valido esclusivamente per il popolo ebraico.

Libero di operare, finanziato, armato e protetto dal diritto di veto costantemente azionato dall’alleato nordamericano (unica eccezione l’astensione alla delibera del Cons.di Sicurezza ONU n.2334 del dicembre 2016, approvata con 14 voti su 15, quando viene chiesto ad Israele di porre fine alla politica di insediamenti a decorrere dal ’67 e che non sarà riconosciuta alcuna modifica ai confini da quella data) lo Stato ebraico persevera nella sua condotta criminale, ammantandola di legalità e dichiarandosi vittima piuttosto che carnefice; fulgido esempio il ricorso all’accusa di antisemitismo forte della definizione dell’IHRA.

L’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA )è un’organizzazione intergovernativa composta da 34 Stati membri, maggiormente europei tra cui l’Italia ma anche Stati Uniti e persino Israele, un Paese di collegamento e sette Paesi Osservatori.

Giusto per puntualizzare si osserva che nel 1975(!) l’Assemblea Generale dell’ONU-il più autorevole degli Organi deliberanti- mediante la Risoluzione n.3379 affermava essere il sionismo una forma di razzismo e discriminazione razziale; successivamente ed è il segno dei tempi di un mondo capovolto ma non per i motivi deliranti di tale Vannacci, nel 2005, sul sito web dell’Agenzia dell’Unione europea viene pubblicata la definizione di antisemitismo, intesa come documento di discussione., in realtà mai adottata e rimossa dal sito nel 2013. Ciò nonostante nel 2016 viene riproposta dall’IHRA che insiste ad affermare, mentendo, che definizione ed esempi sono stati accolti.

Malauguratamente sono molteplici gli esempi di come lo Stato ebraico si avvalga di simile cortina fumogena per rendersi latitante rispetto ai suoi ininterrotti misfatti, condotta perseguita senza soluzione di continuità sino ad oggi; tra le altre piace ricordare una circostanza ripetutasi con le medesime modalità nel corso degli anni: il 2 marzo 2021 la procuratrice capo della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda confermava l’avvio di una indagine formale sui crimini di guerra in Palestina, imputato il primo ministro israeliano; questi replicava definendo le indagini “essenza dell’antisemitismo”.

Il 27 gennaio 2020 l’Italia ha adottato ufficialmente la definizione dell’IHRA tra il plauso delle Comunità ebraiche, in primis Noemi Di Segni presidentessa UCEI “Il governo italiano scrive una pagina fondamentale nella lotta all’odio anti-ebraico in ogni sua forma, compresa quella particolarmente insidiosa di chi mina alla legittimità di Israele di esistere e di difendersi”.

“Il sionismo in Italia è oggi parte integrante della cultura dominante occidentale e non dovrebbe sorprendere considerato che è un movimento politico che trova le sue radici nella pratica e nei concetti tutti europei di colonialismo e nazionalismo. Il caso dell’IHRA dimostra come la politica istituzionale occidentale sia in larga “parte sostenitrice del sionismo e, conseguentemente, causa del problema” ( da Apartheid in Palestina – Gabriele Traetta – ed. Derive e Approdi).

La pubblicità, manifesta ed accolta supinamente, da parte degli esperti di pubbliche relazioni dello Stato ebraico per trasmettere un messaggio vittimistico pur in un contesto che, oggettivamente, non si presta ad interpretazioni di sorta su chi sia l’omicida e chi il perseguitato, trasmette una narrazione che trova il suo presupposto secondo cui …Israele ha diritto a difendersi.

Dolosamente, prescinde completamente tale “dogma di fede” dalla realtà storica densa di sopruso, furto, deportazione, stragi, detenzioni senza processo o Tribunali militari che erogano quintali di ergastoli a chi resiste, prigionieri sapientemente torturati, discriminazione, oppressione, muro di separazione, cheek-point, incursioni, umiliazioni, controllo di ogni momento della vita altrui, ingannevole presenza a falsi processi di pace, ipocrisia a piene mani, sbeffeggiamenti propri della prepotenza del padrone, assedio e beneplacito internazionale allo status quo che prevede colonialismo di insediamento, annessione, occupazione permanente.

Malvagiamente, a fronte di un massacro in atto che, ad avviso dei Giudici della più alta giurisdizione in carica, vale a dire la Corte Internazionale di Giustizia, risulta avere tutti i presupposti per essere potenzialmente definito quale genocidio, indifferente ad ogni moralità di sorta, lo Stato ebraico prosegue imperterrito nel suo crimine, sbeffeggiando qualsiasi Organo di Giustizia, violentando ogni senso di umanità, confermandosi quale entità terrorista, fuorilegge, in preda a deliri messianici.

Israele nei propri esponenti istituzionali invoca la bomba atomica (quindi ne è ufficialmente ammesso il possesso!) sui milioni di palestinesi imprigionati a Gaza, definiti animali umani, tutti colpevoli perché terroristi, da massacrare senza pietà perché la pietà appartiene agli esseri umani. Viene comunicato loro di evacuare, di recarsi in un luogo sicuro tanto da essere fucilati in loco una volta recativisi. Vengono distrutti ospedali coinvolgendo chiunque vi si trovi, non vengono risparmiati malati, vecchi, donne, bambini, si mira a qualunque “cosa” si muova. Vale solamente il giornalismo “embedded” tanto che quelli in loco, nell’esercizio delle loro funzioni, vengono deliberatamente eliminati; nessuna testimonianza delle atrocità compiute dall’esercito più morale del mondo deve uscire dai confini.

Israele ha diritto di difendersi perché lo stato di belligeranza è sorto il 7 ottobre 2023, sino al giorno prima i palestinesi erano liberi e felici godendo di autonomia, risorse futuro roseo. Questa narrazione fatta propria da politici, sedicenti intellettuali, la gran massa degli organi di (dis)informazione e TUTTI i rappresentanti delle Comunità ebraiche aiuta a comprendere chi ci circonda ed a diffidare.

Esiste una netta contrapposizione tra chi si posiziona dalla parte degli ultimi, degli oppressi, di chi lotta per la propria e l’altrui emancipazione, chi resiste universalmente e come tale vive la giornata del XXV Aprile nel suo significato più autentico e chi ha scelto di schierarsi nelle fila dell’illegalità immemore di quanto subito, chi la Resistenza la reprime, chi disdegna ogni principio di solidarietà, chi ritiene che le vite dei prigionieri in mano ai partigiani palestinesi valgano di più di quelle dei prigionieri segregati dai sionisti, chi apprezza i blocchi stradali per impedire i rifornimenti di cibo ai due milioni di palestinesi volendoli vedere morire di fame e di stenti perché comunque colpevoli.

Anche se vi credete assolti siete comunque coinvolti.

Chi sottoscrive questo appello auspica di toccare corde sensibili e perciò si rivolge all’ espressione della Resistenza partigiana italiana esortando a persuadere coloro i quali, inopinatamente, intendono partecipare alle manifestazioni del XXV Aprile sotto smentite spoglie-Brigata ebraica- di fatto identificandosi, nei gesti e nelle parole quali “Amici di Israele” ad evitare una presenza che, mai come in questa occasione, potrebbe essere intesa come insensato gesto di provocazione.

“Il sapere non è fatto per comprendere ma per prendere posizione” (M.Foucault)

“L’ingiustizia che si verifica in qualsiasi luogo è una minaccia per la giustizia ovunque” (M. Luther King)

Enzo Barone – Renata Chiari – Rodolfo Greco- Alessandra Maneschi

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Comunicato per la chiusura dei CPR

da S. O. Futura, Panetteria Occupata:

Comunicato per la chiusura dei CPR

MOBILITAZIONE PER LA CHIUSURA DI TUTTI I CPR- 6 APRILE, MILANO
Le politiche retoricamente emergenziali e i provvedimenti repressivi -volti in realtà a
giustificare normative discriminatorie- attuati dall’Unione Europea per contrastare il fenomeno migratorio, rimarcano coerentemente quelle dinamiche secolarizzate dai progetti imperialisti dell’occidente, dai quali consegue sfruttamento, oppressione e disumanizzazione delle popolazioni devastate dal processo messo in moto dal colonialismo. I processi imperialisti di esportazione di capitale, avanzati dai paesi a capitalismo maturo che, mossi dalla necessità di estendere il controllo sul mercato e sulla produzione, continuano ad
accrescere la miseria e la precarietà dei popoli oppressi
, sono innegabilmente collegati alle politiche razziste e segregazionali applicate dalle potenze economiche dominanti sui migranti che cercano di sfuggire dalle loro condizioni. Non è infatti un segreto che la crescita dell’esercito industriale di riserva, ricavato dai flussi migratori, e l’abbassamento dei costi della forza lavoro che ne deriva, abbia come essenza la ricattabilità delle fasce popolari, costrette ad allontanarsi dai loro paesi d’origine senza quasi niente in mano. I meccanismi di emarginazione sociale riscontrati quotidianamente dalle persone razzializzate non sono altro che il riflesso di sistematiche forme di repressione condotte dagli apparati istituzionali e perpetrate nella storia e sui territori. In Italia ne sono esempio e prova lampante la gestione dei flussi migratori, le cui fallacee normative sono
per lo più volte ad alimentare
tensioni sociali e sfruttamento, eccessiva burocratizzazione dei percorsi per l’ottenimento della cittadinanza, in concomitanza con sistematici abusi di potere perpetrati dalle forze dell’ordine.
Soprattutto chi si ritrova -ricordiamolo, sempre a causa del
colonialismo e imperialismo, necessari al capitale- a percorrere le rotte migratorie criminalizzate, in occidente continuerà ad essere sfruttato all’interno di questo sistema di perpetrazione delle ingiustizie, che fanno della precarietà e di ciò che ne consegue una colpa, trovandosi relegatu a
uno stato di indigenza e incertezza.
I CPR, forse esempio più emblematico di tali meccanismi, continuano ad essere dei non luoghi in cui avvengono gravissime ingiustizie ai danni delle persone detenute, le quali vengono trattenute in un clima di scarsa trasparenza, diritto all’assistenza legale negato e assistenza sanitaria del tutto assente. Maltrattamenti, abusi, violazione dei diritti, accanimento farmacologico: tutto questo per motivi di “ordine pubblico e sicurezza nazionale”.
La
detenzione amministrativa, rappresentativa della violenza e dell’ingiustizia strutturale, è un tassello centrale di un più ampio corpus di norme e politiche mortifere, che reprimono e criminalizzano determinati flussi migratori. Nella prassi assume i tratti di un meccanismo di marginalità sociale e isolamento. I CPR mettono direttamente in contatto i provvedimenti gestionali statali e gli apparati privati. Servendosi di appalti e bandi finanziati da fondi istituzionali, vengono gestiti da società private (Ors, Engel, Gepsa) che regolando un servizio a basso costo, massimiz
zano il profitto sui corpi di esseri umani a cui viene negato ogni diritto. Non è possibile
contrastare questa violenza tramite riforme e cambi di gestione, perché è essa stessa connaturata al doppio binario razzializzante e discriminante della detenzione amministrativa.
In questa fase storica accendere i riflettori sugli effetti dell’imperialismo, a tutti i li
velli, e denunciarli in ogni articolazione, è assolutamente necessario. Stiamo osservando proprio in questi mesi come la retorica degli stati imperialisti non regga più all’evidenza: in tutto il mondo continuano a insorgere nuovi conflitti, o forse non sono mai finiti,
e pure in
Palestina, dove da quasi un secolo si dispiegava uno scontro impari e rivestito di false giustificazioni, oggi non si può più celare che gli interessi sono sempre stati di carattere egemonico. L’ascesa in campo di tutte le potenze mondiali, accordi internazionali, il genocidio dl popolo palestinese. Gaza è stata trasforma dal più grande lager a
cielo aperto
, completamente circondato da muri anche sotterranei e sottomarini dal 2005 e controllata militarmente dagli anni ‘90.
Come antimperialist*, riteniamo non solo di dover agire in modo solidale con chi,
dalla Palestina sino ai CPR, sta cercando di lottare con ogni mezzo per conquistare un futuro libero dall’oppressione, ma riconosciamo anche la necessità di integrare tutte le lotte per la liberazione all’interno di una prospettiva rivoluzionaria capace di estirpare la radice delle oppressioni e proporre un’alternativa a questo sistema di morte, sfruttamento
e segregazione.

I CPR VANNO CHIUSI TUTTI E SUBITO! NO AI CPR, NO AI LAGER DI STATO, NÉ IN ITALIA, NÉ IN
PALESTINA, NÉ ALTROVE!

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A tutti noi che celebriamo la giornata della liberazione…

A tutti noi che celebriamo la giornata della liberazione…
Da un po’ di tempo a questa parte è difficile iniziare la giornata con un sorriso, perchè se fin
dalla nascita ci è stato insegnato che per comprendere la realtà che ci circonda è necessario
seguire un punto di vista, analizzare dinamiche e fenomeni, documentarsi, cogliere gli spunti,
per poi porsi la domanda “dove stiamo andando, quale futuro?”, dopo più di 175 giorni di
bombardamenti continui su Gaza, forse l’interrogativo migliore è “siamo ancora umani?”
Già, perché la memoria “corta” ha fatto dimenticare ad alcuni che tutto è cominciato non nell’
autunno 2023, ma dal 14 maggio 1948 (senza contare i 25 anni di occupazione coloniale
inglese) quando, violando apertamente le decisioni delle Nazioni Unite, il leader sionista Ben
Gurion proclamava unilateralmente la nascita dello stato di Israele, su confini molto più vasti di
quelli previsti dall’ONU stesso, impedendo così che, sul territorio della Palestina, si insediasse
quella commissione internazionale che avrebbe dovuto garantire la nascita di entrambi gli stati
ed i relativi confini.
Dal giorno successivo – il 15 maggio, ricordato dal popolo palestinese come il giorno della
Nakba (la catastrofe) – la Palestina è scomparsa dalle carte geografiche e un popolo che aveva
mantenuto la sua identità per secoli, pur nella colonizzazione romana, bizantina, araba,
ottomana e britannica, è diventato un popolo profugo anche nella sua stessa terra.
In questi anni la colonizzazione si è estesa oltre i confini arbitrariamente conquistati nel 1948,
caratterizzando lo stato come un’entità senza alcuna carta costituzionale e senza confini fissi e
rivendicando un territorio che va dal Nilo all’Eufrate.
La Resistenza palestinese, in tutte le sue forme, nasce quindi con la cacciata del popolo di
Palestina ed una parte consistente della “società democratica” italiana, che ogni anno celebra la
liberazione dall’occupazione nazista e dal fascismo, sembra ignorare sia il diritto del popolo
palestinese di resistere ad una colonizzazione straniera, sia che lo Stato sionista pratica
un’apartheid di tipo razziale e religioso, che discrimina i suoi cittadini di lingua araba.
Peggio ancora, non vede il muro che i sionisti hanno costruito in Palestina per spezzare ogni
possibilità di movimento, ma neppure le migliaia di prigionieri politici palestinesi, anche bambini,
incarcerati senza accusa né processo. (la famosa detenzione amministrativa eredità del
colonialismo inglese)
Purtroppo non si tratta solo di ignoranza, spesso si tratta di connivenza e complicità ed ha un
nome: “revisionismo storico”, una malattia che ha portato alcuni a considerare solo dei “poveri
ragazzi” coloro che nel ’43 si schierarono a fianco dell’oppressore, altri a ritenere che è giunta
l’ora della “pacificazione” confondendo la pace con la rimozione della memoria.
Una spiegazione per arrivare, come si diceva all’inizio a comprendere la realtà che ci circonda,
per contestualizzare i fenomeni e sapere da cosa derivano le relative reazioni.
Se non bastano 32.623 morti tra la popolazione palestinese della sola striscia di Gaza in gran
parte donne e bambini, né i 75.092 feriti (da fonti del Ministero della Salute di Gaza al
29/3/2024), né i 374 del personale sanitario, né i 165 fra il personale ONU, né i 95 giornalisti, né
che in quattro mesi gli sfollati interni a Gaza rasentano già i due milioni, allora cosa occorre per
capire che siamo di fronte ad un genocidio ??
Sempre più spesso qualcuno sostiene che nei cortei serpeggia l’antisemitismo, ma cosa vi
scandalizza, cosa vi preoccupa, nel nostro denunciare una realtà umanamente vergognosa? Di
chi è la vergogna? Forse nei cortei si grida con tutta la voce che si ha in corpo perché si vive
anche la frustrazione dell’impotenza, acuita da una informazione inesistente e soprattutto di
parte, ma almeno è una reazione viva, sicuramente non dettata da interessi economici … come
quelli di chi già si sfrega le mani per accaparrarsi qualche briciola di ricostruzione, come dopo
ogni catastrofe, terremoto, od altro.
Nella nostra testa e nel nostro cuore ci sono le parole di alcuni prigionieri di palestinesi di lunga
data, scritte durante uno dei tanti scioperi della fame contro le terribili condizioni di non vita nelle
carceri israeliane: “Continuiamo la nostra battaglia ispirati dal fatto che l’uomo ha energia
illimitata della quale viene utilizzata solo una piccola parte, ma ne usa il latente quando è
esposto al pericolo. E qui sta il segreto che l’uomo può essere distrutto e non sconfitto. Siamo
anche ispirati dal fatto che la libertà costa più della morte e richiede che l’uomo le dedichi tutti i
suoi momenti e forze.”
Vogliamo rileggere le lettere dei partigiani che hanno combattuto contro il nazifascismo? Forse
troveremo frasi simili, anche più incisive ed è per questo che oggi siamo al fianco di chi si
oppone a tutto lo scempio che abbiamo davanti per la liberazione della Palestina, dove un
esercito super agguerrito (il 4° stato più armato del mondo) attacca una popolazione, ma anche
per la nostra liberazione … da tutte le menzogne propagandistiche, dalla povertà che avanza,
dalla crisi che porta a condizioni di lavoro prive di sicurezza, alla riduzione dei salari, alla
privatizzazione di scuola, sanità, servizi pubblici mentre l’unica cosa che cresce è il profitto, il
controllo sociale e la repressione.
L’esperienza della Resistenza in Italia (molti di noi sono i figli, i nipoti, i bisnipoti di quelli che
furono i combattenti per la libertà e non certo per questo schifo che abbiamo davanti) dovrebbe
aver insegnato che non è possibile accettare tutto quello che il nemico interno ed esterno dice;
come quando venivano etichettati gli eccidi di massa come “reazione/rappresaglia” alle
operazioni partigiane, oppure quando appendevano ai corpi dei partigiani impiccati cartelli con
scritto “Actung banditen”.
Non si possono usare due pesi e due misure: scandalizzarsi perché i palestinesi si rifiutano di
morire in silenzio o di sottostare all’umiliazione quotidiana magari accontentandosi del nostro 5
per mille, e criminalizzandoli quando oltre che con le pietre rispondono all’enorme armamentario
di morte utilizzato quotidianamente contro di loro, con strumenti più potenti delle pietre stesse??
Ma avete mai guardato quegli occhi, quei visi, toccato quelle mani … no già loro sono tutti
terroristi!.
Invece Ben Gurion che viene chiamato “ Padre fondatore d’Israele” perché unì le diverse milizie,
queste si terroristiche, come l’Hagana, l’Irgun, la Banda Stern costituendo le forze militari
israeliane responsabili durante la Nakba dell’uccisione di migliaia di palestinesi, dell’espulsione
di oltre 700.000 palestinesi e della distruzione di 500 villaggi. Lui che nel 1948 svolse una
funzione da leader e che molto esplicitamente indicò allo stato maggiore militare come trattare
gli abitanti autoctoni .”Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle
terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba.
Nel nostro paese c’è posto solo per gli ebrei. Diremo agli arabi spostatevi.”
Lui quindi che cos’è??
Oppure Menachem Begin che, giunto in Palestina nel 1942, diserta dall’armata polacca e
aderisce all’Irgun (gruppo paramilitare terroristico) del quale in breve tempo diventa il leader ed
organizza vari attentati contro militari britannici, culminati con la bomba nel King David Hotel con
novanta morti e l’assalto alla prigione di Acri e si rende responsabile del massacro di Deir
Yassin il 9 aprile del 1948 con 200 morti, la distruzione del villaggio e l’espulsione dei
sopravvissuti.
Lui quindi che cos’è?? Solo un Primo ministro israeliano!
Di cose da dire ce ne sono ancora tante, ma quello che manca ora è il perché di questa lunga
missiva. Siamo arrivati in Aprile, un mese che ci ricorda la lotta partigiana di tanti giovani uomini
e donne, l’insurrezione delle città del nord Italia, lo sventolio delle bandiere rosse… e le grandi
manifestazioni nella giornata del 25 aprile con tanti giovani a fianco di chi aveva combattuto il
fascismo, o il passo stanco degli ex deportati nei campi di concentramento nazisti e nostrani che
sfilano fra gli applausi. Da qualche anno purtroppo anche nella città di Milano abbiamo dovuto
assistere ad alcune presenze scomode: “Gli amici di Israele” che facendo finta di sfilare con la
bandiera della “brigata ebraica” in realtà si portano quella sionista.
Alla luce di tutto quello che è stato scritto e con il cuore comunque in tumulto quello su cui
vorremmo porre l’attenzione è il continuo invocare strumentalmente la democrazia o il diritto di
tutti a partecipare … volendo dimenticare che il 25 Aprile è il momento in cui si rinnova la
memoria della Resistenza.
Ci chiediamo se nelle manifestazioni di quella giornata si possa veder sventolare le bandiere di
uno stato occupante ed oppressore quando negli occhi tutti abbiamo le pile di cadaveri, le case
sventrate, le ruspe che passano sopra i corpi o i bimbi che tremano per la paura?
Ilan Pappè (storico ebreo nato ad Haifa e che ora vive in esilio) dedica il suo libro “La prigione
più grande del mondo”: “Ai bambini palestinesi , uccisi, feriti e traumatizzati dal vivere nella più
grande prigione del mondo” … cioè la Palestina.
Nel riferirsi a tutte le voci fuori dal coro, si accusa di antisemitismo: ma attenzione a non
confondere: tutti noi siamo antisionisti; l’abbiamo sempre ripetuto a gran voce, non antisemiti e
tra l’altro i palestinesi, spesso si dimentica, sono anche essi semiti.
Come spesso negli anni hanno scritto anche dei giornalisti israeliani fino a quando lo Stato di
Israele sfrutterà l’Olocausto degli ebrei (e non a caso nessuno ricorda mai lo sterminio dei rom,
dei sinti e delle popolazioni slave, gli altri “untermenschen” dei nazisti che fanno il paio con gli
“animali umani”, epiteto con cui Israele definisce i palestinesi) come scusa per portare avanti il
suo – prima lento, oggi velocissimo – piano di deportazione e pulizia etnica della Palestina?
Fino a quando gli “amici” occidentali di Israele, a cui l’Italia è legata da forti interessi materiali e
politici, useranno la stessa scusa?
Il senso di tutte queste parole è che la presenza al corteo del 25 aprile dei sionisti in qualsiasi
forma mascherati (da Amici di Israele – da Brigata Ebraica od altro) può essere solo una
provocazione, un’inaccettabile vergogna di veder sfilare chi oggi rappresenta nella realtà un
movimento coloniale che occupa, segrega, reprime ed uccide un intero popolo: i palestinesi.
Sappiamo che farete comunque a modo vostro, che ci chiamerete antisemiti, che griderete allo
scandalo e invocherete una dura repressione: in realtà quello che manca è solo il coraggio e la
dignità di non essere indifferenti o peggio ancora servi.
Milano, 2 Aprile 2024 – Panetteria Occupata
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contributo Rete Tanta Salute a tutti del 10 marzo 24

Pubblichiamo il contributo della “Rete Tanta Salute a tutti” in occasione dell’incontro sulle “Diseguaglianze sociali e accesso alle cure” svoltosi domenica 10 Marzo 2024 all’ex Chiesetta del Parco Trotter:

Legandoci al tema dell’iniziativa di oggi, ovvero: “Diseguaglianze nell’accesso alle cure”, come rete che da tempo tenta di analizzare i processi di privatizzazione della sanità, ci è sembrato importante e urgente sollecitare una riflessione rispetto al DDL Calderoli che nella sua applicazione non potrà che accrescere le diseguaglianze già oggi gravi ed evidenti.
Abbiamo provato a fissarne alcune e la prospettiva che intravediamo è piuttosto allarmante, richiederebbe secondo noi un grande sforzo collettivo per invertire la rotta e impedire una riforma profondamente antisolidaristica dove la competitività è proprio l’essenza del pensiero che sta alla base dell’autonomia differenziata e il cardine su cui viene costruito tutto l’impianto normativo.
La riforma sull’autonomia differenziata delle regioni, ha già visto un primo passaggio al Senato, al quale seguirà un iter parlamentare e se approvata dalla camera, diventerà legge, probabilmente entro la primavera (prima delle elezioni europee).
Una legge che cambierà l’architettura istituzionale dello Stato e soprattutto la distribuzione delle competenze tra stato e regioni, in ottemperanza a quel terzo comma dell’art 116 della nostra carta costituzionale che prevede per le regioni a statuto ordinario, la possibilità di chiedere ulteriori competenze, oltre a quelle già esistenti previste dalla riforma del titolo V di 23 anni fa.
L’autonomia differenziata sarà quel Processo che consentirà alle regioni a statuto ordinario di poter fare tutto, dal legiferare in poi su ben 23 materie che riguardano la nostra vita quotidiana. La Lombardia ne ha chieste 20. Per citarne alcune, la sanità, l’istruzione, la tutela e la sicurezza del lavoro, l’alimentazione, l’ambiente, il governo del territorio, ecc. e ognuna di queste 23 materie ha dei sottotitoli, parliamo di quasi 500 competenze che passerebbero alle Regioni dallo Stato centrale.
Insieme alle competenze, le regioni potranno anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive, ma su base regionale.
Se nella nostra regione i livelli di inquinamento superano costantemente le soglie di sicurezza per la nostra salute, tanto per parlare di ambiente; se il governo del territorio ha finora consentito ai grandi gruppi immobiliari, ai fondi finanziari, etc di attuare enormi speculazioni sul nostro territorio edificando, cementificando e sottraendo spazio pubblico senza alcun freno, cosa succederà quando quei pochi vincoli oggi esistenti cadranno?
Se parliamo di sanità, il processo di privatizzazione già ampiamente portato avanti nella regione Lombarda in questi ultimi decenni, potrà compiersi senza più vincoli, aumentando di conseguenza le differenze di accesso alle cure che già esistono nel Paese.
Si avrà una legittimazione normativa della frattura nord sud, che comprometterà l’uguaglianza dei cittadini nel diritto alla salute e rafforzerà il fenomeno di migrazione sanitaria.

Con l’autonomia differenziata verrebbero assicurati maggiori finanziamenti alle regioni del nord, in quanto hanno più risorse e una spesa storica più alta e meno a quelle del sud, dove ci sono meno risorse e quindi una spesa storica più bassa.
L’autonomia differenziata come suggerisce la parola, differenzia i diritti delle persone e questo non succederà solo nel sud Italia. C’è un sud anche al nord, dove ad esempio ci sono comuni di montagna che hanno l’ospedale più vicino a due ore di distanza.
La forma di regionalismo sanitario già attualmente presente ha di fatto
ampiamente minato il SSN per come è stato concepito dalla legge 883 del 1978 e la recente pandemia ha chiaramente dimostrato come la sanità su base regionale non sia in grado di rispondere efficacemente ad un’emergenza nazionale in nessuna parte del Paese. Logica risposta a ciò che la pandemia ha mostrato avrebbe dovuto essere il ritorno ad un Sistema Sanitario Nazionale unico, non certo all’accelerazione della sua disgregazione attraverso il Regionalismo Differenziato.
Nel campo del lavoro, assisteremo invece alla stipula di contratti differenziati, attraverso una contrattazione autonoma regionale per quanto riguarda il personale scolastico e medico sanitario, se una regione ha disponibilità finanziaria potrà fare contratti integrativi regionali per il personale medico infermieristico, potrà organizzare autonomamente le scuole di specializzazione, potrà disporre di fondi integrativi per la sanità da destinare al comparto privato accreditato; se una regione vuole privatizzare completamente la sanità, lo potrà fare più di quanto lo
abbia già fatto.
Un processo che porterà inoltre al superamento del contratto collettivo nazionale, che indebolirà la rappresentanza e la funzione del sindacato e che metterà in competizione lavoratori con lavoratori, territori con territori, portando alla totale destrutturazione dell’insieme del sistema contrattuale. Inoltre, in una situazione di de finanziamento della nostra sanità pubblica che pone l’Italia ultima tra i Paesi del G7 per spesa sanitaria e di iniziative come la flat tax con un conseguente calo delle entrate fiscali dello Stato, non potranno che accentuarsi le
differenze regionali nell’erogazione dei servizi con l’attribuzione di maggiori finanziamenti pubblici in funzione all’adempimento sui Lep.
Altro aspetto su cui ci preme ragionare è appunto il passaggio dai Lea ai livelli essenziali di prestazione (Lep). I Lea sono i livelli complessivi con cui il servizio garantisce l’assistenza per una determinata situazione, sia essa una fragilità, una cronicità, una malattia oncologica o una situazione morbosa. L’assistenza a cui si riferiscono è quella sanitaria e anche quella sociale come enunciato da uno dei principi fondamentali su cui si basa il nostro Ssn che dice: “È un dovere integrare l’assistenza sanitaria e quella sociale quando il cittadino richiede prestazioni sanitarie e, insieme, protezione sociale che deve garantire, anche per lunghi periodi, continuità
tra cura e riabilitazione”.
Con i Lep si mette l’accento sulla singola prestazione perdendo di vista l’assistenza del singolo individuo nella sua peculiarità. L’assistenza sanitaria viene così trasformata in una somma di singole prestazioni. Quindi il rischio in questo sistema di conteggio all’americana è di spezzettare il servizio sanitario in mille prestazioni come
fanno le assicurazioni: ma il sistema sanitario non è un sistema assicurativo, fatto di tabelle, è un sistema in cui si affrontano i problemi complessivi dell’individuo. Con l’autonomia differenziata avremo venti diversi sistemi sanitari tanti quanti sono le Regioni, una situazione incompatibile con quella della professione medica la cui deontologia è assistere tutte le persone, indipendentemente dalle loro condizioni
sociali o dalla loro religione o dalla loro etnia. Le persone sono tutte uguali e hanno ugual diritto di assistenza sanitaria e sociale. Lo sforzo originario con l’istituzione del Ssn era proprio quello di garantire la salute del cittadino e della collettività in condizioni di eguaglianza.
Si peggiorerà ulteriormente la situazione che si è generata con la riforma del Titolo V che ha affidato la tutela della salute alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
Di fronte alla salute non possiamo pensare che l’assistenza erogata ed erogabile da un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico sia legata al ceto, all’istruzione e soprattutto alla posizione geografica di residenza. È inammissibile che il cittadino italiano nato in Lucania abbia una assistenza diversa dal cittadino italiano nato in Veneto.
Quello che però ci sembra importante al di là dei tecnicismi che si traducono in un peggioramento delle condizioni di vita che ogni riforma porta con sé, è chiederci cosa noi possiamo fare, consapevoli del ritardo e della frammentazione che purtroppo caratterizza la risposta a questo ulteriore attacco. Crediamo che qualsiasi iniziativa si voglia organizzare debba essere preceduta da un capillare lavoro di controinformazione sia rispetto alla privatizzazione della sanità pubblica che al tema dell’autonomia differenziata e al diritto alla salute.
Un diritto, quest’ultimo sempre più negato, se leggiamo i dati forniti da fonti autorevoli riportate sabato 2 marzo sul Manifesto, si possono leggere i dati dei decessi a Milano dovuti all’inquinamento, 1.600 all’anno per cause attribuibili al Pm 2.5 e 1.300 attribuibili al biossido di azoto, con una concentrazione maggiore nelle zone periferiche della città dove le strade sono più trafficate e le condizioni socio economiche rendono le persone più fragili e vulnerabili.
È evidente che viviamo in una società capitalista e imperialista, che mentre de finanzia la sanità pubblica, aumenta le spese militari rendendosi soggetto attivo nei molti conflitti che oggi il mondo vive, non ultimo il genocidio che si sta compiendo in Palestina.
Non possiamo aspettarci quindi nulla dalle nostre istituzioni, dalle loro politiche razziste e discriminatorie che ad ogni riforma o legge intensificano lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, privatizzano ogni settore che coinvolge le nostre vite e riducono gli spazi di agibilità politica al fine di attuare senza intoppi le loro strategie.
Spetta a noi trovare pratiche e modalità che ci permettano di lottare contro questo modello di società.

Rete tanta salute a tutti – Milano 10 marzo 2024

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