IL LAVORO SI … LA CASA NO! – dalla Rete solidale Ci Siamo

IL LAVORO SI … LA CASA NO!

ovvero: serviamo per essere sfruttati, ma non quando rivendichiamo un bisogno
Il lavoro si, la casa no, è quanto ha sintetizzato un abitante dell’occupazione di via Fracastoro che, con la rete Ci siamo, rivendica la necessità ad avere una casa non solo per questa realtà di immigrati e immigrate, ma per tutti quei lavoratori e lavoratrici che con le loro attività per lo più precarie, in nero, con contratti a termine e senza garanzie contrattuali, sono interni e motore della stessa economia e produzione di ricchezza. Economia che attua anche in questa città, verso queste fasce di proletari e le figure più fragili e non produttive, politiche di espulsione e di sfruttamento.
La storia di Ci siamo ovvero della nostra comunità di lotta, è una storia lunga otto anni ed è fatta di occupazioni e sgomberi. Nell’ultima occupazione in via Fracastoro abitavano in una settantina di persone, nuclei familiari e singoli, provenienti dal Mali, Gambia, Marocco, Brasile, Perù, Costa d’Avorio, Palestina, Algeria, Tunisia, Nigeria, Togo, Liberia, Guinea Conakry. Lavoratori e lavoratrici stranieri/e impegnati principalmente nel campo dell’assistenza domiciliare, della logistica, della sicurezza, dei servizi.
Crediamo che la nostra storia sia paradigmatica e il riflesso delle politiche abitative sia a livello nazionale che locale verso le fasce più deboli e fragili. Una politica abitativa e sociale a favore degli interessi economici dei grossi gruppi immobiliari e finanziari, che privatizzata e mercifica il bisogno della casa.
1- L’occupazione come risposta.
È importante ribadire ancora una volta che, anche in assenza di politiche abitative attente ai bisogni dei proletari, le occupazioni, informali o rivendicate e sostenute dai movimenti cittadini di lotta per la casa rappresentano la soluzione alla vita in strada. Una necessità vitale che garantisce di non perdere tutto quello che si ha, ma di continuare a lavorare, portare i figli minori a scuola, vivere dignitosamente e progettare un futuro.
Oggi la pratica dell’occupazione, che rappresenta anche una forma di denuncia nei confronti delle migliaia di immobili privati e pubblici lasciati vuoti e al degrado, si trova difronte ad una repressione sempre più capillare. Basta guardare le nuove norme contro le occupazioni abitative (Direttiva Ministro dell’Interno 10 agosto 2023), che hanno attuato a Milano, così come in altre parti d’Italia, lo sgombero di diversi stabili occupati con lo scopo dichiarato di “tutelare la proprietà privata e ripristinare la legalità”.
Una legalità sempre più a difesa delle speculazioni immobiliari private che, in accordo con le amministrazioni pubbliche e i soggetti del terzo settore, stanno trasformando le città in base alle proprie esigenze di profitto, accerchiando i quartieri popolari, espellendone gli abitanti, devastando e saccheggiando anche dal punto di vista ambientale interi territori.
Una legalità che utilizza in modo ostentato la repressione per il ripristino di una sicurezza aleatoria trasformando un problema sociale in una questione di ordine pubblico. Ancor di più oggi, visto quanto prevede il DDL 1660 (Pacchetto sicurezza), in fase di approvazione definitiva, che mette in campo un armamentario normativo che aggrava le leggi già esistenti e ne prevede di nuove che allargano i reati punendo ogni forma di conflitto sociale, di lotta esistente o futura, anche pacifica.

2- Comune di Milano – Responsabilità pubbliche

Quella del Comune è una responsabilità ampia perché da oltre due anni, cioè da quando era stato emesso il bando per destinare l’edificio di via Esterle a luogo di culto (25 marzo 2022), gli abitanti, sostenuti dalla Rete solidale Ci Siamo, avevano denunciato quanto per loro era impossibile trovare una casa. Il tentativo era quello di mettere il Comune nella condizione di attuare politiche abitative in grado di offrire una abitazione dignitosa anche a loro, lavoratori stranieri con contratti brevi e a basso reddito.
Il Comune, al momento dello sgombero, pur avendo dichiarato di voler continuare a cercare delle soluzioni, non si è né presentato nel giorno dello sgombero né ha avviato successivamente alcuna interlocuzione con gli abitanti. In tal modo ha reso palese che l’incontro ottenuto dopo le diverse manifestazioni davanti al Comune e i presidi presso gli uffici comunali dell’Assessorato alla casa, era stato concesso solo perché si trattava di un immobile pubblico che andava consegnato alla Casa della Cultura Musulmana di via Padova per realizzare la prima moschea autorizzata di Milano.
Successivamente allo sgombero di via Esterle e una volta che gli abitanti si sono trasferiti nello stabile occupato di via Fracastoro 8, il Comune ha mostrato ancora disinteresse, come se il riconoscimento di un istanza che gli abitanti rappresentavano fosse svanito e la richiesta di non criminalizzare le occupazioni non riguardasse più l’ amministrazione comunale in quanto, l’immobile di via Fracastoro, di proprie proprietà di un privato, costituisse solo un problema di ordine pubblico di competenza eventualmente della Prefettura.
Il ripristino della “legalità” e il “disinteresse” dimostrato hanno reso ancora più difficili le
condizioni di vita all’ interno dello stabile, dove sono confluiti tutti gli abitanti provenienti dagli altri edifici sgomberati. Uno spazio ben presto congestionato per la presenza di circa 70 persone, diventato non idoneo a famiglie e bambini, a persone con problemi di salute ed anziani, che ha creato problemi gestionali importanti a causa dell’insufficienza di bagni, docce, di spazi abitativi dignitosi e la possibilità di messa in sicurezza che è stata la causa dell’avvenuto incendio.
Ancora una volta infatti l’ Amministrazione comunale si è disinteressata del caso solo perché l’immobile è privato e occupato; ha ribadito che i lavoratori stranieri che vi abitano non rappresentano una fragilità e dunque una priorità per il Comune e neppure che la ricerca di una soluzione al problema abitativo di queste persone rappresenti una richiesta di attenzione particolare, così come invece era stato sostenuto dalla vicesindaco Scavuzzo in una dichiarazione pubblica rilasciata il giorno dello sgombero dello stabile di via Esterle.
3- L’incendio
Da emergenza a problema di ordine pubblico.
La notte del 19 settembre c’è stato un incendio in una palazzina di via Fracastoro 8 dove abitavano circa settanta persone, lavoratori immigrati singoli e famiglie con minori.
La Protezione civile del comune di Milano, intervenuta per coordinare e assistere gli abitanti evacuati, ha comunicato che i nuclei familiari sarebbero stati accolti nella struttura comunale di viale Ortles e gli adulti singoli si sarebbero dovuti rivolgere al Centro Sammartini, dove li ha accompagnati con i propri mezzi.
Al Centro di via Sammartini 120, di fronte all’ esigenza dichiarata di trovare soluzioni per tutti gli abitanti, la funzionaria ha fatto presente che il servizio prevede prima incontri individuali e poi, sulla base di questi, delle soluzioni temporanee solo per le persone con particolari fragilità. Dopo una prima serie di colloqui conclusasi con la consegna di un elenco di strutture a pagamento a cui si sarebbero potuti rivolgere, gli abitanti hanno deciso di non muoversi dalla sala d’aspetto fino a quando non avrebbero ottenuto almeno una soluzione per la notte.
La funzionaria invece di adoperarsi per rispondere all’emergenza, dopo aver dichiarato che non c’erano più le condizioni per continuare il servizio, ha chiuso anticipatamente tutti gli uffici e fatto uscire gli operatori, lasciando aperta solo la sala d’aspetto.
Con questa scelta, l’emergenza si è trasformata in un problema di ordine pubblico gestito dalla Digos, che nel frattempo aveva raggiunto il Centro e svolto un ruolo di intermediario con la Protezione civile, la quale in tarda serata ha proposto come soluzione per la notte la palestra di via Cambini da loro allestita, dove hanno trovato pernottato 38 persone.

4- L’offerta comunale
“Soluzioni” ordinarie, temporanee e non per tutti “

La mattinata seguente gli abitanti sono stati riportati dalla Protezione civile al Centro Sammartini 120 e, nonostante la continua richiesta di interlocuzione con l’Assessorato al Welfare e Salute, la funzionaria del Centro Sammartini ha ribadito l’indisponibilità a un incontro per affrontare l’emergenza di una collettività.
Le soluzioni prospettate sono state quindi i colloqui individuali e dieci posti in due dormitori differenti più altri da verificare in Casa Jannacci. Soluzioni che, oltre a non risolvere il problema per tutti gli abitanti, erano solo per pochi giorni. Inoltre non era certa la possibilità che fossero garantite le esigenze di chi ha orari lavorativi notturni come rider, addetti alla sicurezza e alle pulizie e ancora meno certa la probabilità di una futura e stabile sistemazione abitativa.
Di fronte al muro di gomma da parte delle istituzioni, gli abitanti e gli attivisti della Rete solidale Ci Siamo hanno deciso di spostarsi in piazza Leonardo da Vinci, luogo simbolico di protesta e di lotta.
Qui hanno piantato delle tende. Una sistemazione di fortuna dove temporaneamente vivere e, al tempo stesso, rendere visibile e denunciare anche alla cittadinanza l’assenza di politiche abitative e l’indisponibilità a trovare soluzioni che non siano aleatorie e temporanee. Ma è stato anche rivolto un appello a tutte le realtà cittadine attive nella lotta a difesa degli interessi delle classi subalterne al fine di rafforzare le relazioni solidali.
5- La mobilitazione
Dalle tende in piazza a Casa Loca
Con le tende in piazza Leonardo è iniziato un confronto assembleare per continuare e rafforzare un percorso di lotta per la casa in cui la nostra esperienza come attivisti, lavoratori e lavoratrici migranti, si è messa in relazione con le lotte metropolitane e nazionali contro il DDL 1660 e in solidarietà attiva alla resistenza palestinese e anticoloniale. Consapevoli che l’intreccio di esperienze e percorsi di lotta uniti attorno ad obiettivi comuni possano contribuire a modificare i rapporti di forza affinché si creino le condizioni per cambiare lo stato delle cose presenti.
Da questo confronto e a maggior ragione in mancanza di alternative istituzionali, è maturata come soluzione alla vita in tenda, che non poteva oggettivamente continuare a lungo a causa delle condizioni climatiche, delle esigenze lavorative e dei problemi sanitari, la decisione di tornare a fare vivere lo stabile di Casa Loca sgomberato nell’agosto di quest’anno.
Uno sgombero avvenuto, come ha riportato Casa Loca, “… a seguito della denuncia della
proprietà, la Lambda S.R.L., facente parte del gioco di scatole cinesi del blocco di potere
economico della Pirelli, del gruppo Prelios e delle aziende collegate: i padroni del quartiere
Bicocca, alla periferia di Milano” … È importante ricordare che “Casa Loca è stato un luogo
simbolico per la città di Milano, … di occupazione e autogestione nato sulla scorta della solidarietà internazionalista, dell’autorganizzazione studentesca e delle lotte per i diritti delle e dei migranti … inoltre, la vicinanza con l’università Bicocca ha fatto sì che lo spazio fosse da sempre punto di riferimento per studentesse, studenti e personale dell’università stessa, in un quartiere di antica estrazione operaia.”

6- L’occupazione
A/R Casa Loca – Piazza Leonardo
Nei cinque giorni della rioccupazione di Casa Loca, lo spazio è stato attraversato ed utilizzato da differenti realtà e soggettività milanesi solidali che intorno alle tende di piazza Leonardo avevano rafforzato l’esperienza di Ci Siamo. È diventato così luogo di assemblee, cene, momenti condivisi, fino allo sgombero avvenuto il due ottobre con una forte presenza della Digos, di polizia e carabinieri.
Benché si fosse consapevoli di un probabile sgombero in tempi brevi, la rioccupazione di Casa Loca, oltre a rispondere all’esigenza di un posto in cui vivere, ha assunto un forte carattere simbolico sia per la sua storia politica e sociale, sia per le ragioni per cui era stata sgombrata precedentemente, legate a interessi privati e speculativi.

7- Il ritorno alle tende e l’interlocuzione con il Comune
Dopo lo sgombero di Casa Loca, dal due ottobre gli abitanti sono ritornati a vivere alle tende in piazza Leonardo da Vinci dove, anche a causa delle condizioni climatiche (13 giorni di pioggia intensa), resistono a quelle condizioni indignitose, nel fango e nell’umidità, in condizioni igieniche precarie e con problemi di salute sempre più frequenti, solo grazie alla solidarietà che si è creata intorno a loro.
Solo dopo 23 giorni dall’incendio, l’assessore alla sicurezza Marco Gramelli e l’assessore alla casa Giudo Bardelli si sono resi disponibili ad un incontro in Comune.

Nel corso dell’incontro gli assessori hanno dichiarato, a parole, una volontà e un impegno a trovare soluzioni vista la situazione di invivibilità nelle tende, ipotizzando una prima fase a carattere emergenziale, quindi temporanea, quale tampone verso una soluzione più duratura.
Han chiesto qualche giorno di tempo per valutare e verificare le possibili soluzioni.
A distanza di 10 giorni dall’incontro dell’undici ottobre, nessuna notizia né negativa né positiva è pervenuta, nonostante ripetute richieste di riscontro.
Quanto accaduto nel corso di questo percorso e di quanto sta accadendo alle persone
accampate in piazza Leonardo da Vinci in circostanze climatiche particolarmente difficili, con freddo e piogge abbondanti, condizioni igieniche e sanitarie basilari invivibili, è una
responsabilità che il Comune si deve assumere, a fronte, se non a parole, di risposte e soluzioni reali e fattibili che non sono mai arrivate e neanche ipotizzate.
Una responsabilità ancora più grave da parte di questa amministrazione in quanto, nel recente passato, di fronte all’incendio della Torre dei Moro e quelli di via Vasari e via Luxemburg, ha sostenuto gli abitanti sfollati stanziando ingenti fondi e individuando soluzioni abitative, ma anche agevolazioni fiscali.
Ci si chiede dunque qual è la ragione di questo disinteresse verso i lavoratori immigrati, se non quello di mantenerli in condizioni di precarietà, marginalità e sfruttamento, spingendoli a vivere in strada, in edifici dismessi o più lontano possibile dalla città.
È evidente che la vita nelle tende non è più accettabile e sostenibile, non solo per il fango e le condizioni igienico-sanitarie che comporta, ma perché lede la dignità delle persone.
Una dignità rivendicata, fin dalla sua nascita, da questa comunità di immigrati, che è stata il motore e la spinta per non vivere più nella paura e nascosti negli scantinati.
Una spinta che ha permesso per alcuni anni di avere un tetto sulla testa dove poter dare un
ordine alla propria vita, organizzarsi, sperimentare forme di socialità e mutualità, mettere a nudo le responsabilità delle politiche immigratorie dei nostri governi, frutto delle stesse logiche coloniali che condannano ad immigrare ed esercitano qui le stesse forme di dominio e sfruttamento.

Milano 23-10-2024 Rete solidale Ci Siamo

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24 ottobre: COSTRUIAMO LA MOBILITAZIONE QUEER!

S.O:FUTURA organizza:     COSTRUIAMO LA MOBILITAZIONE QUEER!
Assemblea pubblica a Milano, Panetteria Occupata (via conte rosso, 20), 24 ottobre h. 17:00
Gli avanzamenti legislativi dei governi occidentali, a partire da USA e Inghilterra, nella persecuzione delle persone queer e trans*, hanno subito un’accelerazione negli ultimi anni per via dell’inasprimento delle contraddizioni sociali culminato con la crisi, il ricorso alla guerra e l’ascesa delle destre reazionarie.
Questo ricorso alla transfobia sta venendo adottato ora più che mai anche dal governo Meloni.
A causa della progressiva lotta contro la subalternità prodotta dal binarismo di genere e sessuale, l’esistenza di chi non corrisponde ai criteri patriarcali è messa a repentaglio  oltre che da un clima di polarizzazione sempre maggiore a livello sociale, anche da una serie di provvedimenti legislativi e risoluzioni che stanno ormai prendendo piede in Italia.
Ci ritroviamo ora in una situazione critica, in cui la frammentazione sociale imposta e mantenuta dal sistema capitalistico non basta più per reprimere il dissenso generale, e i governi si trovano costretti a implementare misure repressive sempre maggiori per impedire che le categorie sociali subalterne si organizzino per contrastare la propria oppressione. Vediamo ora questa ondata repressiva prendere forma attraverso, ad esempio, il DDL sicurezza o la crescente violenza delle forze dell’ordine nei confronti delle comunità marginalizzate.
Lo sviluppo imperialista dell’ultimo secolo ha inoltre favorito la settarizzazione delle forze politiche antagoniste in ambiti sempre più ristretti, limitando il carattere organico e rivoluzionario dell’azione politica, spesso compartimentalizzando le lotte in settori stagni, e dunque mancando di una comprensione intersezionale della militanza. Le lotte per i diritti delle persone queer e trans non possono essere concepite come separate dalle lotte anti-imperialiste e anti-razziste, né dalle lotte per il diritto all’abitare o per l’abbattimento del capitalismo in generale. Tutte queste contraddizioni hanno una stessa matrice in comune, ed è quella della proprietà privata, in quanto essa modella e sviluppa tutti i rapporti economico-sociali della realtà in cui viviamo, e tali rapporti possono essere trasformati solo agendo in maniera organica e intersezionale.
Al contempo, stanno prendendo piede in alcune aree della sinistra borghese e liberale sempre più realtà TERF (trans-exclusionary radical feminist), le quali, portando avanti rivendicazioni estremamente reazionarie, invece che supportare materialmente la liberazione delle subalternità di genere e sessuali, auspicano per la loro distruzione, rinforzando il modello di genere basato sul binarismo. Ad esempio l’organizzazione TERF “RadFem” sta organizzando per il 26 ottobre a Milano un convegno estremamente transfobico, in preparazione a un presidio che si terrà il 1 novembre davanti al consolato tedesco per protestare contro una legge per la semplificazione dell’iter burocratico di affermazione di genere per le persone intersex e non binarie, legge che entrerà in vigore in Germania in quella stessa data.
A questa situazione serve una risposta forte e unitaria, ed è per questo motivo che, come Futura, abbiamo deciso di organizzare un momento di riflessione politica rivolta al panorama transfemminista e queer milanese.
Il nostro scopo è catalizzare una mobilitazione generale a partire dall’ambito della queerness, per capire come agire a livello cittadino per contrastare e trasformare i rapporti sociali che ci impediscono di esprimere le nostre necessità e volontà in quanto persone queer e trans*.
Per questo motivo abbiamo deciso di chiamare un’assemblea pubblica per giovedì 24 ottobre in Panetteria Occupata. L’obiettivo è porci una serie di interrogativi sulla lotta queer, far partire un dibattito e infine organizzarci per contrastare materialmente il sistema che produce e mantiene la nostra oppressione, ovvero il binarismo di genere.
instagram: @s.o.futura
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20 ottobre: Cineforum

Domenica 20 ottobre dalle 17:30 S.O.Futura organizza

CINEFORUM

a seguire Cena

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18 ottobre: Sciopero Generale NO DDL 1660 NO DDL LAVORO

Con la resistenza palestinese contro i governi guerrafondai
Il Parlamento sta per approvare una proposta di legge del governo Meloni che stabilisce pene pesanti e carcere per chi organizza o fa picchetti, per chi prende parte a manifestazioni contro la guerra, le basi militari, le “grandi opere”, i disastri ecologici, per chi per bisogno occupa case sfitte, per chi protesta nei centri per immigrati o nelle carceri contro condizioni insopportabili, perfino per chi ha in casa scritti che il governo considera “terroristi” – una legge da stato di polizia.
Questa legge-manganello serve al governo e allo stato per mettere a tacere chiunque si opponga all’economia di guerra, che sta spostando sempre più risorse dai salari e dalla spesa sociale e sanitaria alle enormi spese per le guerre in corso (Ucraina, Palestina) in cui l’Italia, con la NATO e l’Unione europea, è implicata, e per la preparazione di nuove guerre, fino a Taiwan.
Crisi e guerra, sono i due pilastri principali su cui reggono le manovre in atto. Appare
evidente come queste pesanti politiche antiproletarie, acutizzeranno ulteriormente le
contraddizioni sociali e come sia una questione di sopravvivenza per gli Stati e il capitale evitare che sfocino in risposte conflittuali da parte della classe, difficili da controllare e gestire. La necessità di avere una società pacificata diventa quindi un imperativo.
Per fermare questa corsa all’instaurazione di uno stato di polizia e ad una nuova guerra mondiale, dobbiamo mobilitarci nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nelle università. Il nostro nemico è a casa nostra! Per questo abbiamo costituito
nei mesi scorsi la Rete Liberi/e di lottare contro il decreto-sicurezza, e proposto ai
sindacati di base uno sciopero generale per far sentire forte la voce dei lavoratori.
Il Si.Cobas e, nel trasporto locale, Al-Cobas, hanno raccolto questa richiesta proclamando lo sciopero generale dei settori pubblico e privato per venerdì 18 ottobre, come risposta anche all’esplicito attacco fatto in Parlamento da Piantedosi contro il sindacato Si.Cobas, reo di aver, con picchetti e scioperi, organizzato le migliaia di lavoratori prevalentemente immigrati contro il super-sfruttamento nella logistica.
Facciamo tutto il possibile perché si rompano i muri che dividono la classe lavoratrice, e tutti i settori di classe e i movimenti confluiscano in un solo fronte di lotta contro il governo, i padroni, la legge-manganello, le guerre e l’economia di guerra; per imporre il ritiro dei decreti-sicurezza, Valditara e “lavoro”; per porre fine al genocidio in Palestina; per il rinnovo dei contratti di lavoro con forti aumenti salariali e la riduzione dell’orario di lavoro; per il taglio drastico delle spese belliche e l’incremento massiccio delle spese per sanità, istruzione, disoccupazione, prevenzione dei disastri ambientali, pensioni; per bruciare i diktat anti-operai di Stellantis.
Come Rete Liberi/e di lottare contro il DDL sicurezza di Milano vi invitiamo
VENERDÌ 18 OTTOBRE, SCIOPERO GENERALE, contro il
DDL 1660, DDL lavoro e lo stato di polizia.
A sostegno e per rafforzare le iniziative di lotta che il Si.Cobas con i lavoratori
organizzeranno nei luoghi di lavoro, Presidio con corteo, in piazzale Accursio (MI), ore 13, contro la CABI Cattaneo che arma Israele e l’industria della guerra.
C.a.b.i. Cattaneo un’azienda nazionale leader nella progettazione, sviluppo e
fornitura di mezzi subacquei per le forze speciali della marina militare con rapporti
consolidati con la marina israeliana di cui ha contribuito anche alla costituzione.
La complicità è lunga, storica e documentata: ricordiamo i siluri a lunga o a lenta
corsa (i maiali) usati per la prima volta nel ‘48 dall’entità sionista per rompere
l’accerchiamento egiziano nel porto di Gaza.
Il fondatore Giustino Cattaneo progettò i Mas (Motobarca armata svan, poi Motoscafo anti sommergibile) che vennero commissionati dalla Regia Marina per far fronte alla flotta austro-ungarica. Inoltre, CABI ha dato la sua “entusiasta adesione al progetto” di un libro in più volumi dedicato agli “eroici assaltatori della Decima Flottiglia Mas della Regia Marina” che l’11 settembre, in seguito all’armistizio del ’43, si dichiararono alleati della Germania nazista e si attivarono anche contro la resistenza dei partigiani italiani. Capriotti della Decima Mas e un suo collega di CABI
Cattaneo addestrarono gli operatori della Tredicesima Flottiglia Commando di
Israele fin dalla sua fondazione e nel ’48 i siluri a lunga o a lenta corsa (i maiali)
progettati da CABI furono usati dalla neonata entità sionista per rompere
l’accerchiamento egiziano nel porto di Gaza.
Gli accordi commerciali e di ricerca insieme alla presenza delle navi della marina militare italiana nel Mar Rosso manifestano chiaramente la volontà del governo di continuare a essere complice del genocidio del popolo palestinese e del massacro di altri popoli per lo sfruttamento delle risorse e l’egemonia politico-militare nella logica imperialista, coloniale e capitalista dell’Occidente, con Stati Uniti ed Europa in prima fila.
In tempi recentissimi, da agosto 2023, CABI ha stretto un’alleanza con Fincantieri e
il 12 dicembre 2023 ha presentato con Leonardo al Polo Nazionale della Dimensione
Subacquea di La Spezia un mezzo declassificato per l’utilizzo di mini siluri nei raid da
parte della marina militare statunitense e israeliana.
La lotta contro l’occupazione in Palestina è per la liberazione dal colonialismo, massima espressione del capitalismo, in cui la classe lavoratrice salariata è sottoposta a condizioni di vita sempre più degradanti; è per la liberazione, lì come da noi, dallo sfruttamento e dall’oppressione sistemica su terra, corpi e spazi.
Rete Liberi/e di lottare – Fermiamo il DDL 1660 –
fermiamoidecretisicurezza@gmail.com

 

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17 ottobre: presidio per Seif

PRESIDIO GIOVEDI’ 17 ORE 11.00 TRIBUNALE DI MILANO – CORSO DI PORTA VITTORIA

Seif Bensouibat è un rifugiato politico di cittadinanza algerina arrivato in Italia 13 anni fa. Seif lavorava come educatore al liceo Chateaubriand di Roma da cui è stato licenziato per alcuni commenti e post dove esprimeva supporto alla resistenza palestinese.

Nei confronti di Seif è stato aperto un procedimento con sospensione e revoca del permesso di soggiorno. Dopo una perquisizione in casa Seif è stato internato nel CPR di Ponte Galeria, dal quale è uscito dopo 4 giorni di mobilitazioni nazionali; il giudice della convalida ha infatti sentenziato che non ci fossero i presupposti per la detenzione.

Tuttavia la battaglia di Seif non è terminata: giovedì 17 ottobre, a Milano, si terrà l’udienza per la revoca della protezione, che ne comporterebbe la deportazione.

Seif non ha avuto paura, pur conoscendo i rischi a cui andava incontro, rimanendo fedele alla storia di liberazione del suo popolo contro la brutale colonizzazione francese, esprimendo posizioni chiare contro il genocidio in atto da parte dell’entità sionista nei confronti del popolo palestinese a Gaza.

Il caso di Seif è l’esempio lampante di come la nostra lotta si inserisce in un quadro più ampio dove la repressione tocca tutti e tutte: il DDL1660 – in discussione al Senato – porta avanti una logica repressiva e securitaria per criminalizzare il conflitto sociale e il dissenso in ogni sua forma, inclusa quella della solidarietà con persone migranti e persone private della libertà nei CPR.

Oggi più che mai bisogna fare una scelta, c’è chi è disposto a perdere tutto per la verità e la giustizia, mentre altri, pieni di benefici e privilegi sopra al collo, hanno paura di stare dalla parte giusta della storia.

Seif ci ricorda che quando lottiamo per la nostra libertà, stiamo lottando per la libertà di tutti e tutte; quando lottiamo per la libertà di tutti e tutte, stiamo lottando per la nostra libertà.

Questo giovedì 17/10, alle ore 11:00, ci troveremo in presidio davanti al Tribunale di Milano in Corso di Porta Vittoria per esprimere tutta la nostra solidarietà e vicinanza a Seif.

LIBERTÀ PER SEIF
LIBERTÀ PER TUTT

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3 ottobre: Libertà per Seif

3 OTTOBRE 2024 DALLE ORE 10:30 TRIBUNALE MILANO C.SO DI PORTA VITTORIA
LIBERTA’ PER SEIF BENSOUIBAT
Il 3 ottobre si terrà udienza per la revoca dello stato di rifugiato a Seif.
Non lasciamolo solo!
COSTRUIAMO SOLIDARIETA’
FERMIAMO LA REPRESSIONE!
TUTTI A ROMA IL 5 OTTOBRE!
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Contributo Rete solidale Ci Siamo sulla situazione abitativa

Socializziamo il contributo della Rete solidale Ci Siamo in vista dell’assemblea in Piazza Leonardo da Vinci di Giovedi 25 settembre per fare il punto della situazione degli abitanti di Via Fracastoro e rilanciare iniziative per il bisogno alla casa

240924 Ci Siamo

ASSEMBLEA PUBBLICA
Vi aspettiamo mercoledì 25 settembre in piazza Leonardo Da Vinci alle ore 18.30 per
proseguire il lavoro di costruzione di un percorso di lotta per la casa in cui la nostra esperienza come attivisti, lavoratori e lavoratrici migranti, sappia mettersi in relazione con le lotte metropolitane e nazionali, confluire nella campagna di mobilitazione contro il DDL 1660, ed esprimere solidarietà attiva alla resistenza palestinese. Facciamo in modo che questo intreccio di percorsi di lotta possa contribuire a modificare i rapporti di forza affinché si creino le condizioni per cambiare lo stato delle cose presenti.
***
Mobilitiamoci tutti!
SETTANTA PERSONE SENZA CASA DOPO UN INCENDIO.
La notte del 19 settembre c’è stato un incendio in una palazzina di via Fracastoro 8 dove abitavano circa settanta persone, lavoratori immigrati singoli e famiglie con minori. Gli abitanti sono usciti dallo stabile prima che le fiamme si propagassero completamente al suo interno e per alcune ore sono stati tutti per strada con le poche cose che erano riusciti a portare con loro. La Protezione civile del comune di Milano, intervenuta per
coordinare e assistere gli sfollati, ha comunicato agli abitanti che i nuclei familiari sarebbero stati accolti nella struttura comunale di viale Ortles e gli adulti singoli si sarebbero dovuti rivolgersi al Centro Sammartini, dove li ha accompagnati con i propri mezzi. Al Centro di via Sammartini 120, di fronte alla richiesta di affrontare
collettivamente l’emergenza e trovare soluzioni per tutti gli abitanti, la funzionaria ha fatto presente che il servizio prevede prima incontri individuali e poi, sulla base di questi, delle soluzioni temporanee solo per le persone con particolari fragilità.
Dopo una prima serie di colloqui conclusasi con la consegna di un elenco di strutture a pagamento a cui si sarebbero potuti rivolgere gli abitanti, questi sostenuti dalla Rete solidale Ci Siamo hanno deciso di non muoversi dalla sala d’aspetto, fino a quando non avrebbero ottenuto almeno una soluzione per la notte. La funzionaria invece di adoperarsi per rispondere all’emergenza, ha dichiarato che non c’erano più le condizioni
per continuare il servizio, ha chiuso anticipatamente tutti gli uffici e ha fatto uscire gli operatori, lasciando aperta solo la sala d’aspetto. Con questa scelta l’emergenza si è trasformata in un problema di ordine pubblico gestito dalla Digos, che nel frattempo aveva raggiunto il Centro e svolto un ruolo di intermediario con la Protezione Civile, la quale in tarda serata ha proposto come soluzione per la notte la palestra di via Cambini da
loro allestita.
La mattinata seguente gli abitanti sono stati riportati dalla Protezione Civile al Centro Sammartini 120 e, nonostante la continua richiesta di interlocuzione con l’Assessorato al Welfare e Salute, la funzionaria del Centro Sammartini, ha ribadito l’indisponibilità a un incontro per affrontare collettivamente l’emergenza. Le soluzioni prospettate sono state quindi i colloqui individuali e dieci posti in due dormitori differenti più altri da
verificare in Casa Jannacci. Soluzioni che, oltre a non risolvere il problema per tutti gli abitanti, erano solo per pochi giorni. Inoltre non era certa la possibilità che fossero garantite le esigenze di chi ha orari lavorativi notturni come rider, addetti alla sicurezza, e alle pulizie e ancora meno certa la probabilità di una futura e stabile sistemazione abitativa.
Di fronte al muro di gomma da parte delle istituzioni, gli abitanti sfollati e gli attivisti della Rete solidale Ci Siamo, hanno deciso di spostarsi in piazza Leonardo da Vinci, luogo simbolico di protesta e di lotta. Qui hanno piantato delle tende per dormire e vivere, per rendere visibile e denunciare alla cittadinanza l’assenza di politiche abitative e l’indisponibilità a trovare soluzioni che non siano aleatorie e temporanee. Ma anche per
rafforzare le relazioni solidali e la partecipazione di tutte le realtà cittadine attive nella lotta a difesa degli interessi delle classi subalterne.
LA CASA É UN BISOGNO – RETE SOLIDALE CI SIAMO
La storia della nostra comunità di lotta è una storia lunga otto anni iniziata con l’occupazione di uno stabile in via Fortezza a cui sono seguiti sgomberi e nuove occupazioni fino all’ultima di via Fracastoro dove siamo confluiti dopo gli sgomberi delle ultime tre occupazioni (via Iglesias, via Siusi e via Esterle). In via Fracastoro abitavamo in una settantina di persone, nuclei familiari e singoli, provenienti dal Mali, Gambia, Marocco, Brasile, Perù, Costa D’Avorio, Palestina, Algeria, Tunisia, Nigeria, Togo, Liberia, Guinea Conacry. Lavoriamo come rider, assistenti domiciliari, nella logistica, nella sicurezza, nei servizi, in condizioni in cui spesso non vengono rispettate le minime garanzie contrattuali (salariali e normative), ma siamo funzionali ed essenziali per
l’economia di questa città.
In questi ultimi anni non siamo riusciti a trovare in affitto nel libero mercato un appartamento o una stanza in condivisione a causa dei costi sempre più elevati e delle garanzie richieste dai proprietari al momento del contratto che molti di noi, lavoratori con contratti brevi e a basso reddito, non riusciamo a dare, oltre a forme sempre più diffuse di razzismo e discriminazione che subiamo. Per noi non è prevista una politica abitativa e
sociale che sia in grado di aiutarci ad accedere a un’abitazione dignitosa, come ha evidenziato ciò che sta accadendo in questi giorni dopo l’incendio del 19 settembre, e precedentemente nel caso di via Esterle dove il Comune, dopo un confronto durato diversi mesi, ci aveva consegnato come unica soluzione un elenco di pensionati che, dopo essere stati contattati, sono risultati tutti pieni.
La richiesta di una politica abitativa attenta a noi lavoratori dovrebbe rappresentare oggi una priorità per questa Amministrazione dato che la maggior parte di noi, a causa delle difficoltà di ottenere e rinnovare i documenti, siamo facilmente ricattabili e per questo motivo costretti ad accettare dei lavori sottopagati e con condizioni contrattuali spesso al limite della legalità. É importante ricordare che, in assenza di politiche abitative attente ai
bisogni dei proletari, le occupazioni, informali o rivendicate e sostenute dai movimenti cittadini di lotta per la casa, hanno rappresentato la soluzione alla vita in strada. Una necessità vitale che ha fatto sì che ad uno sgombero seguiva una nuova occupazione che garantiva di non perdere tutto quello che avevamo ma di continuare a lavorare, portare i figli minori a scuola, e vivere dignitosamente.
Questa pratica, che rappresenta anche una forma di denuncia nei confronti delle migliaia di immobili privati e pubblici lasciati vuoti e al degrado, oggi è più difficile da realizzare a causa delle nuove norme contro le occupazioni abitative (Direttiva Ministro dell’Interno 10 agosto 2023) che hanno portato a Milano, così come in altre parti d’Italia, allo sgombero di diversi stabili occupati con lo scopo dichiarato di “tutelare la proprietà privata e ripristinare la legalità”. Una legalità sempre più a difesa delle speculazioni immobiliari private che, in accordo con le amministrazioni pubbliche e i soggetti del terzo settore, stanno trasformando le città in base alle proprie esigenze di profitto, accerchiando i quartieri popolari, espellendone gli abitanti, devastando e saccheggiando anche dal punto di vista ambientale interi territori. Una legalità che utilizza in modo ostentato la
repressione per il ripristino di una sicurezza aleatoria trasformando un problema sociale in una questione di ordine pubblico. Ancor di più oggi, visto quanto prevede il DDL 1660 (Pacchetto sicurezza), in fase di approvazione definitiva, che mette in campo un armamentario normativo che aggrava le leggi già esistenti e ne prevede di nuove che allargano i reati punendo ogni forma di conflitto sociale, di lotta esistente o futura, anche
pacifica. Le forme più significative su cui agisce il nuovo “pacchetto sicurezza” sono l’ampliamento dei reati associativi (art. 270), l’estensione della possibilità di revoca della cittadinanza per gli immigrati, pene pesanti per chi occupa, sostiene o solidarizza con gli occupanti; l’ aumento dell’utilizzo del Daspo urbano; aggravanti per blocco stradale e ferroviario; la detenzione per le donne madri o in stato di gravidanza; la creazione del nuovo reato di “terrorismo delle parole” contro chi si oppone alla realizzazione delle grandi opere; il reato di rivolta, esteso anche alle forme di protesta pacifiche, nelle carceri e, per i migranti, nei CPR e nei CAS. L’obiettivo è chiaramente attaccare le lotte che si sono espresse nei luoghi di lavoro, così come nei territori, in risposta ad una crisi che produce inflazione galoppante, erode sempre più i salari, precarizza le condizioni di lavoro,
aumenta la speculazione e la privatizzazione, crea disuguaglianze e discriminazioni e che produrrà sempre più miseria per le classi subalterne. Ma anche, colpendo le singole istanze di lotta, mina la possibilità di ricomposizione di queste su obiettivi più complessivi quali l’opposizione alle politiche guerrafondaie degli USA/NATO e la solidarietà alle espressioni più avanzate di lotta anticoloniale con in testa la resistenza palestinese.
Rete solidale Ci Siamo
23 settembre 2024

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27 settembre: incontro di in/formazione sul DDL 1660

VENERDI 27 SETTEMBRE DALLE ORE 19 ALLA PANETTERIA OCCUPATA VIA CONTE ROSSO 20 UN INCONTRO DI FORMAZIONE INSIEME AGLI AVVOCATI B.CICCARONE E M.PELAZZA PER CONOSCERE QUESTO DDL E ORGANIZZARE LA LOTTA PER FERMARLO

FERMIAMO IL DDL 1660 – SUBITO!

Il 18 settembre la Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza il DDL 1660 – decreto sicurezza – con il quale si istituisce in Italia un vero e proprio stato di polizia.
Il DDL 1660, è una legge liberticida, schiavista, da stato di polizia con cui il governo Meloni intende far fare alla repressione statale delle lotte, delle proteste e finanche del semplice dissenso, un salto di qualità, grazie anche all’aiuto di un’opposizione parlamentare di centro-sinistra che negli anni precedenti ha spianato la strada a queste nuove norme che in qualche caso vanno perfino oltre quelle del fascista codice Rocco.
Il DDL 1660, introduce nuovi reati e nuove aggravanti di pena, colpisce insieme le manifestazioni contro le guerre, a cominciare da quelle contro il genocidio di Gaza, e quelle contro la costruzione di nuovi insediamenti militari; i picchetti operai; le proteste contro le “grandi opere”, la catastrofe ecologica, la speculazione energetica; le forme di lotta di cui questi movimenti si dotano per aumentare la propria efficacia come i blocchi stradali e ferroviari; le occupazioni a scopo abitativo di case sfitte. E contiene norme durissime contro qualsiasi forma di protesta e di resistenza, anche passiva, nelle carceri e nei Centri di reclusione degli immigrati senza permesso di soggiorno, perfino contro le proteste di familiari e solidali a loro supporto. Nel mentre assicura alle forze di polizia nuovi poteri e, di fatto, l’impunità per qualsiasi loro condotta sancendone l’intoccabilità, e arrivando a punire duramente perfino le lesioni lievissime.
Questo DDL è stato approvato col silenzio complice sia delle “opposizioni democratiche” che dei mass media.
Nella sostanza tutti uniti nella direzione di un inasprimento dei dispositivi repressivi, funzionale alla guerra e all’economia di guerra, cioè di fatto all’ introduzione di una vera e propria legge marziale!
Ora la parola passa al Senato, il quale sicuramente approverà in tempi brevi questo ignobile disegno di legge.
Per i proletari e per tutti coloro che intendono preservare gli spazi minimi di agibilità per le lotte e il conflitto sociale, la parola deve invece passare alla piazza e allo sciopero generale!
Non farlo significa accettare supinamente e senza colpo ferire lo stato di polizia di queste nuove leggi e precludersi la possibilità e la necessità di aprire una nuova stagione di lotta contro la guerra, l’economia di guerra e il governo della guerra, dello sfruttamento e dell’odio feroce e
spietato contro TUTTI gli oppressi.
Per opporsi a questo disegno di legge numerose realtà politiche, sociali e sindacali, si sono unite nella “Rete Libere/i di Lottare – fermiamo insieme il Ddl 1660” che attraverso lo sviluppo di una mobilitazione unitaria si pone l’obiettivo di bloccare questo progetto all’interno di una lotta più
generale.
OPPONIAMOCI AL DDL 1660 – RILANCIAMO LE LOTTE contro i padroni, il governo Meloni, le guerre in corso.
Sabato 5 ottobre tutte/i a Roma dalla parte del popolo e della resistenza palestinese!
Rete Libere/i di Lottare – fermiamo insieme il Ddl 1660 – nodo territoriale di Milano
Per aggiornamenti e conoscere le iniziative segui il canale telegram

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FERMIAMO IL DDL 1660 LA LOTTA NON SI ARRESTA!

Un contributo per la mobilitazione per Fermare il DDL 1660 dall’assemblea della Panetteria Occupata

FERMIAMO IL DDL 1660
LA LOTTA NON SI ARRESTA!

Il disegno di legge 1660 presentato dal Governo Meloni a firma del ministro dell’interno
Piantedosi, della difesa Crosetto e della giustizia Nordio (partorito quindi da tutte le funzioni e poteri del governo: legislativo, esecutivo e giudiziario), dopo il vaglio della Commissione Giustizia Affari Costituzionali (che su richiesta della Lega ha aggravato alcune norme), il 10 settembre è approdato alle Camere per la discussione ed approvazione. L’ennesimo pacchetto di norme sulla “sicurezza” finalizzate a colpire, impedire e prevenire iniziative di lotta, agibilità politica e libertà di critica attraverso l’aumento dei reati e l’incremento delle pene detentive.
Un disegno di legge che si abbatterà su un largo spettro di soggetti e movimenti, a partire dai lavoratori più combattivi che in questi anni, soprattutto nella logistica, hanno ottenuto, con dure lotte, importanti vittorie salariali, occupazionali, sull’ organizzazione dei ritmi e dei tempi di lavoro; sui movimenti contro le grandi opere e la guerra, per la casa; nei confronti dei giovani che lottano contro le scelte economiche che determinano devastazioni ambientali e climatiche; gli immigrati che rivendicano un documento e si oppongono allo sfruttamento, al razzismo, alle condizioni ed internamento nei CPR; i prigionieri contro le condizioni disumane nelle carceri.
La legge in discussione è figlia della logica securitaria che da oltre 40 anni i vari governi che si sono succeduti, a suon di legislazioni e decreti speciali hanno messo in campo per contrastare i presunti nemici di turno (mafia, “terrorismo”, rom, immigrati, islamici ….), e costruire una narrazione che permettesse di attuare misure sempre più repressive e di controllo preventivo, impedire ogni possibile critica al fine di spezzare e pacificare essenzialmente la lotta di classe.
Legislazioni che dagli anni 70-80 (legge Reale, art.90 …) hanno svolto una funzione repressiva e di deterrenza per contrastare la lotta di classe che si era sviluppata in un grande movimento rivoluzionario (non solo in Italia, ma a livello internazionale) e per annientare ogni possibilità di cambiamento sociale. Di quel movimento, che vide oltre 20.000 indagati e oltre 6.000 prigionieri politici, ancor oggi, nel silenzio più assoluto, 16 compagni sono in galera in AS2, senza possibilità di uscita, se non quello di un movimento che lo richieda incondizionatamente.
A partire dalla lotta a quello che lo Stato chiama “terrorismo”, sono state applicate misure
emergenziali che avrebbero dovuto avere un carattere temporaneo, ma in realtà sono diventate norma ordinaria, utilizzate e generalizzate ad altri soggetti e tipologie di reati, consolidate, man mano, da altri pacchetti sicurezza. Si veda l’applicazione dell’art. 41 bis del Regolamento penitenziario, nato per contrastare la mafia e ampliato a quell’arcipelago di reati per terrorismo a cui è sottoposto oggi Alfredo Cospito e altri 3 compagni da quasi 20 anni e non ultima, la detenzione di Luigi Spera in AS2 nel carcere di Alessandria accusato in maniera arbitraria e aleatoria di attentato con finalità di terrorismo per un’iniziativa di denuncia contro la multinazionale dell’apparato industriale-militare Leonardo.
Operazione che lo Stato ha condotto attraverso un’opera anche ideologica di differenziazione, desolidarizzazione, indottrinamento ed ingabbiamento delle lotte all’interno di una logica di compatibilità e legalità borghese.
Un solco continuato, via via negli anni, seguendo le varie emergenze, ergo, necessità da parte dello Stato e del capitale di portare avanti i propri piani e il proprio dominio. Solo qualche esempio: con la legge Bossi-Fini, il pacchetto sicurezza Minniti/Orlando, la legge 80/2012 nota come “piano casa Renzi-Lupi, il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza, il decreto Cutro, Caivano .., si formalizza, attraverso una revisione di codici penali e la creazione e ampliamento di nuovi reati, chi sono i nemici da combattere: la classe subalterna che lotta in tutte le sue espressioni e forme.
Lotte che si sono espresse nel lavoro, così come nei territori, nelle scuole, come risposta ad una crisi che produce inflazione galoppante, erode sempre più i salari, precarizza le condizioni di lavoro, aumenta la speculazione e la privatizzazione, crea sempre più disuguaglianze e discriminazioni e che produrrà sempre più miseria per le classi subalterne.
Il futuro che si prospetta nella relazione di Draghi a Bruxelles non lascia dubbi: per uscire dalla forte crisi che attraversa l’UE, c’è bisogno che l’Europa sia competitiva, e la ricetta prevede investimenti di 700-800 miliardi tramite ricorso al debito comune, cioè pubblico, quindi ulteriori tagli alle politiche sociali, da riacquisire, in parte attraverso il recupero di
produttività, quindi maggior sfruttamento e risparmio sul costo del lavoro, perché l’UE
rispetto a Cina e Stati Uniti ha perso posizione in termini di produttività del lavoro e
produzione nei confronti dei colossi internazionali. “Come dice Draghi: Il bilancio dell’Ue
dovrebbe essere riformato per aumentarne l’efficacia e l’efficienza, oltre a essere
meglio sfruttato per sostenere gli investimenti privati”, istituendo “un ‘pilastro della
competitività. “La competitività dell’Ue è attualmente compressa da due lati. Da un lato, le imprese dell’Ue devono far fronte a una domanda estera più debole, soprattutto da parte della Cina, e a crescenti pressioni competitive da parte delle imprese cinesi. La quota dell’Ue nel commercio mondiale è in calo, con una notevole diminuzione dall’inizio della pandemia. Dall’altro lato, la posizione dell’Europa nelle tecnologie avanzate che guideranno la crescita futura si sta riducendo“.
“Per ridurre le sue vulnerabilità, l’Ue deve sviluppare una vera e propria politica
economica estera basata sulla sicurezza delle risorse critiche…. “con una strategia
globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici,
dall’estrazione alla lavorazione al riciclaggio” .
E Draghi, unite a queste misure strutturali, non manca di porre l’accento sulla necessità di
incrementare la produzione bellica e la “difesa”, per essere preparati ad affrontare le “minacce incombenti”: “La pace è il primo e principale obiettivo dell’Europa. Ma le minacce alla sicurezza fisica sono in aumento e dobbiamo prepararci. L’UE è collettivamente il secondo Paese al mondo per spesa militare, ma questo non si riflette nella forza della nostra capacità industriale di difesa … L’industria della difesa è troppo frammentata, il che ostacola la sua capacità di produrre su scala, e soffre di una mancanza di standardizzazione e interoperabilità delle attrezzature, che indebolisce la capacità dell’Europa di agire come una potenza coesa. Ad esempio, in Europa vengono prodotti dodici diversi tipi di carri armati, mentre gli Stati Uniti ne producono solo uno.”
Crisi e guerra, sono i due pilastri principali su cui reggono le manovre in atto. Appare evidente come queste pesanti politiche antiproletarie, acutizzeranno ulteriormente le contraddizioni sociali e come sia una questione di sopravvivenza per gli Stati e il capitale evitare che sfocino in risposte conflittuali da parte della classe, difficili da controllare e gestire. La necessità di avere una società pacificata, in mancanza e nell’impossibilità di elargire ammortizzatori sociali, diventa quindi un imperativo.
Lo Stato, in apparente contraddizione con le sue stesse regole e principi di legalità,
costituzionalità, democrazia borghese nega lo stesso diritto di espressione e manifestazione del dissenso attaccando a 360° le lotte nel mondo del lavoro, sulla casa, per la difesa dell’ambiente, contro le grandi opere, le proteste nelle carceri e nei CPR, la libertà di pensiero, che, in questa fase sempre più acuta di crisi in cui versa il capitale e di guerra aperta a livello globale, rappresentano le contraddizioni sulle quali si sono sviluppate le lotte e che potrebbero in futuro porsi nella prospettiva di un cambiamento sociale complessivo.
Il DDL 1660 rappresenta in questo contesto un ulteriore tassello di erosione degli spazi
democratici in linea con la riforma del premierato: una democrazia autoritaria, in cui concetto di sicurezza è sinonimo di criminalizzazione delle lotte sociali.
Le forme più significative su cui agisce il nuovo “pacchetto sicurezza” sono l’ampliamento dei reati associativi (art. 270), l’ estensione della possibilità di revoca della cittadinanza per gli immigrati, pene pesanti per chi occupa, sostiene o solidarizza con gli occupanti; l’ aumento dell’utilizzo del daspo urbano; aggravanti per blocco stradale e ferroviario; la detenzione per le donne madri o in stato di gravidanza; la creazione del nuovo reato di “terrorismo della parole” contro chi si oppone alla realizzazione delle grandi opere (NoTav, NoPonte); il reato di rivolta, esteso anche alle forme di protesta pacifiche, nelle carceri e, per i migranti, nei CPR e nei CAS.
La necessità di controllo e di pacificazione è ancora più necessaria se si contestualizza la
situazione a livello internazionale di scontro economico e militare imposto dai poli imperialisti USA, UE e Nato. In particolare, se si legge la questione palestinese, con il genocidio in corso ad opera del sionismo israeliano con la complicità e la partecipazione attiva degli Usa e dei governi europei, Italia in primis, che ha aperto uno spiraglio, dato coraggio e rafforzato le lotte a livello internazionale. Conflitto che ha messo in evidenza le contraddizioni delle cosiddette democrazie occidentali, l’aspetto coloniale ed imperialista della guerra, il concetto di Resistenza, il rifiuto della divisione fra “buoni e cattivi”, messo in luce la necessità di una lotta internazionalista che rafforzando la lotta dei palestinesi, allude alla liberazione dal capitalismo in tutti i paesi.
È in questo scenario di rafforzamento del ruolo dell’esecutivo, di proposta del premierato, di una svolta autoritaria e di fascistizzazione del potere che va letto l’attacco oggi in atto e va inquadrato il DDL 1660 che assume un carattere “strutturale” a livello politico, economico, sociale, ideologico. Un’ operazione che crea le condizioni per una massificazione della repressione, ma soprattutto mira a sancire che non si debbano creare condizioni e velleità di cambiamento, di poter immaginare e pensare la possibilità di costruire una società diversa da quella capitalista. Assume quindi, attraverso l’azione punitiva, anche una funzione di prevenzione, deterrenza e monito.
Queste le ragioni per cui il disegno legge in discussione non è riformabile, né emendabile, ma va fermato.
A livello nazionale si è formato un coordinamento tra numerose realtà politiche, sindacali e sociali, la “Rete liberi/ e- Fermiamo insieme il DDL1660”, che attraverso lo sviluppo di una mobilitazione unitaria si pone l’obiettivo di bloccare questo progetto all’interno di una lotta più generale contro la guerra, lo sfruttamento dell’uomo e della natura.
Per rafforzare il percorso intrapreso a livello nazionale, pensiamo sia possibile attivare
concretamente anche nell’area metropolitana milanese, con tutte quelle realtà impegnate nella lotta per la casa, sul lavoro, contro i cpr, nelle carceri, contro i progetti delle grandi opere, per l’ambiente, nelle università, contro il genocidio palestinese e la guerra, un polo metropolitano, che a partire, dalla costruzione di iniziative sui territori, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, contro la proposta di legge in discussione, lavori per diventare un punto di riferimento, di discussione, organizzazione e mobilitazione metropolitano delle lotte.
Uno sforzo verso il coinvolgimento di ampi settori di classe già attivi nelle lotte, ma che si
allarghi anche a quei settori e soggetti oggi ancora silenti, condizione necessaria per, concretamente, FERMARE il DDL 1660.

Assemblea della “Panetteria Occupata”- Milano

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16 settembre: Assemblea per un nodo locale della “Rete Liberi/e di lottare: fermiamo insieme il DDL1660”

FERMIAMO IL DDL 1660
Il 10 settembre inizia alla Camera dei deputati l’iter parlamentare per l’approvazione del Disegno di legge 1660 firmato dai ministri Piantedosi – Nordio – Crosetto. Si tratta di un salto di qualità nella repressione statale che esige la più ampia, urgente ed organizzata risposta unitaria.  Va’ a colpire tutte le realtà di lotta ed i soggetti più deboli di questa società; un attacco a tutto campo contro le lotte operaie, studentesche, sociali, ecologiste, di resistenza nelle carceri e contro le guerre imperialiste.
A Roma domenica 8 settembre centinaia di compagne/i hanno espresso la volontà di costituire la “Rete Liberi/e di lottare: fermiamo insieme il DDL1660” e promuovere iniziative di denuncia e di lotta da sviluppare nei territori e a livello nazionale.
Si è sottolineata l’urgenza di una risposta che rompa il silenzio intorno a questo disegno di legge liberticida che sta avanzando rapidamente verso la sua trasformazione in legge con la totale complicità della cosiddetta opposizione parlamentare e del sistema dei mass media. Nessuno ha oggi la forza per contrapporsi da solo in modo efficace all’attacco del governo Meloni ma è necessaria una mobilitazione unitaria dai luoghi di lavoro, a quelli di studio, alle strade.
Questo disegno di legge da stato di polizia trova le sue radici nella tendenza sempre più marcata alla corsa al riarmo in un quadro internazionale in cui stanno maturando le premesse di una apocalittica guerra.
Una guerra esterna-interna che determina un’ economia di guerra, sfruttamento, carovita, smantellamento dei servizi sociali per aumentare le spese militari. Una tendenza che non nasce certo oggi con il governo Meloni, ma ha una serie di precedenti negativi, ad esempio nel decreto Renzi-Lupi, nel Decreto Minniti, nei Decreti Salvini fino all’ultimo Decreto Caivano. Con l’acuirsi del processo di crisi dell’intero sistema sociale capitalistico, cresce, e non solo in Italia, il ricorso dei governi e degli stati alla repressione delle lotte, con un impegno particolare a dotarsi di strumenti capaci di prevenire l’esplosione dei conflitti di classe e sociali.
A questo attacco sempre più generale, che colpisce non solo chi lotta ma settori sociali sempre più ampi è indispensabile dare una risposta di carattere generale e la più ampia possibile.
Per rafforzare questo percorso, per fermare il DDL1660, invitiamo tutte/i per costruire insieme, anche sul territorio milanese, momenti di dibattito, controinformazione e di lotta che raccolgano le indicazioni generali e le proposte della “Rete Liberi/e di lottare: fermiamo insieme il DDL1660” tra cui la partecipazione all’assemblea indetta dal S.I.Cobas il 29 Settembre al Teatro Centofiore (Via Corticella – Bologna) per porre le basi di uno sciopero nazionale e di una manifestazione nazionale a Roma contro il DdL, e la partecipazione della Rete con uno spezzone unitario alla manifestazione nazionale del 5 ottobre a Roma, convocata dai GPI e da altre organizzazioni palestinesi,
all’assemblea di LUNEDI 16 SETTEMBRE ALLE ORE 21 alla Panetteria Occupata in Via Conte Rosso 20 Milano.
Un ampio lavoro da portare avanti collettivamente e su cui far convergere forze, energie e lotte, con una speciale attenzione alla classe lavoratrice e ai settori giovanili del precariato, delle scuole e delle università, in vista di un’ampia opposizione al Decreto 1660 e di un più generale rilancio delle lotte contro i padroni, il governo Meloni, le guerre in corso.
Le realtà milanesi aderenti alla “Rete Liberi/e di lottare: fermiamo insieme il DDL1660”
LUNEDI 16 SETTEMBRE ALLE ORE 21
Panetteria Occupata in Via Conte Rosso 20 Milano
ASSEMBLEA PER UN NODO LOCALE della “Rete Liberi/e di lottare: fermiamo insieme il DDL1660”
Per le nuove adesioni, scrivere a fermiamoidecretisicurezza@gmail.com
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