MOBILITAZIONE IN RISPOSTA ALLO SGOMBERO DI VIA ESTERLE 15
MARTEDI 29 AGOSTO DALLE ORE 18:30
APPUNTAMENTO ALLA ROTONDA DI VIA GIACOSA/VIA PADOVA
Rete per il Diritto all’Abitare – Milano
MOBILITAZIONE IN RISPOSTA ALLO SGOMBERO DI VIA ESTERLE 15
MARTEDI 29 AGOSTO DALLE ORE 18:30
APPUNTAMENTO ALLA ROTONDA DI VIA GIACOSA/VIA PADOVA
Rete per il Diritto all’Abitare – Milano
Nella città di Milano nessun lavoratore con condizioni simili a
quelle degli abitanti di via Esterle può permettersi di affittare
una casa o una stanza sia nel mercato libero che in quello
calmierato, ma neppure di accedere all’offerta di alloggi pubblici
limitata alle famiglie con minori o alle persone più povere e
fragili.
Per un lavoratore straniero questa condizione è aggravata da una
politica razzista e discriminatoria che impedisce o rende difficile
la regolarizzazione, che favorisce forme di lavoro precario e
sottopagato, che criminalizza l’immigrazione occultando le
Breve cronistoria dei recenti avvenimenti
Negli ex bagni pubblici di proprietà comunale, in disuso da più
di trenta anni, abitano da circa sei anni una quarantina di persone
provenienti perlopiù dall’Africa centrale.
Nel mese di marzo dell’anno scorso (2022) lo stabile è stato
messo a bando per destinarlo a finalità religiose e la gara è stata
vinta dall’Associazione Casa della Cultura Musulmana di via
Padova.
Subito dopo l’uscita del bando, la Rete solidale Ci Siamo, che ha
sostenuto l’occupazione di via Esterle, si è attivata per incontrare
il Comune di Milano al fine di trovare delle possibili alternative
abitative per tutte le persone che lì ci vivono.
I silenzi che sono seguiti alle nostre richieste di incontro e il
segnale dato in occasione dei sopralluoghi in via Esterle, quando
alle comunità religiose interessate al bando è stato concesso di
visionare soltanto la parte dei locali non occupati come se la
parte dello stabile con i suoi abitanti dovesse restare invisibile,
hanno mostrato l’indifferenza del Comune.
Un’ulteriore conferma di questo atteggiamento si è avuta nel
mese di maggio (2022) in occasione di una manifestazione
pubblica davanti Palazzo Marino per chiedere al Comune di non
alienare l’edificio o in alternativa di impegnarsi a trovare
soluzioni abitative alternative. Anche allora nessuno
rappresentate dell’Amministrazione comunale fu disponibile a
incontrare una delegazione di manifestanti.
Così a metà luglio (2022) fu fatto un presidio all’interno degli
uffici comunali di via Larga e ottenuto un primo incontro con
l’Assessorato alla casa del Comune di Milano. Da quel primo
colloquio ne sono seguiti altri, stimolati da altre manifestazioni
che si sono rese necessarie di fronte al ritorno al silenzio da
parte dell’istituzione comunale.
1.
Nel confronto con i diversi assessori e i vari dirigenti tecnici del
Comune è sempre stata presente una delegazione composta da
abitanti e attivisti, che ha ribadito le ragioni alla base di questo
percorso di lotta.
Si è sempre detto che nessuno è contrario a una moschea a
Milano, tanto più che la maggioranza degli abitanti è di fede
musulmana, che nessuno è particolarmente affezionato ai vecchi
e malandati locali di via Esterle, e che la permanenza in quegli
spazi è dovuta principalmente alla mancanza di alternative
abitative valide: trovarsi per strada senza un posto dove vivere
comporta la perdita in un tempo breve del proprio lavoro e
quindi anche dei documenti, in pratica significa tornare indietro
di anni, quando si era appena arrivati in Italia.
La non contrarietà al progetto comunale è stata dimostrata nei
fatti dando disponibilità ad accompagnare una delegazione di
tecnici della Casa della Cultura Musulmana all’intero dello
stabile per effettuare dei rilievi tecnici necessari alla
finalizzazione del bando, precisando che per organizzare quello
ed eventuali ingressi futuri non era necessaria la mediazione
della Questura di Milano che avrebbe spostato la questione dal
tema abitativo a quello dell’ordine pubblico.
2.
Lo scopo degli incontri con l’Amministrazione comunale non
era di chiedere una soluzione caritatevole né un’attenzione
privilegiata ma quello di far prendere atto dell’impossibilità di
accesso alla casa da parte di una gran numero di lavoratori, in
particolare immigrati, con contratti a termine di breve durata,
rinnovati a scadenza, e con salari bassi, di circa ottocento/mille
euro al mese. Non si tratta di un aspetto marginale, ma di un
problema ampio che riguarda la condizione lavorativa e abitativa
di migliaia di persone che sono impiegate in settori strategici
della più importante area metropolitana italiana.
Per questo motivo non è accettabile la criminalizzazione delle
occupazioni abitative che in questi anni hanno rappresentato
l’unica possibilità concreta di avere un tetto sopra la testa, degli
spazi e dei servizi minimi per poter vivere dignitosamente,
lavorare, rinnovare i documenti e mandare soldi alle famiglie nei
paesi di origine.
Una criminalizzazione che era sottesa nell’iniziale chiusura al
confronto da parte dell’Amministrazione comunale e che
lasciava presagire l’ennesimo sgombero a sorpresa che non
avrebbe dato agli abitanti nemmeno il tempo necessario a
riorganizzare la propria vita, a trasportare le proprie cose, a
trovare una nuova sistemazione provvisoria.
Esperienze che abbiamo già vissuto e subito una decine di volte
in sette anni, l’ultima lo scorso marzo (2023) con lo sgombero
dell’occupazione abitativa di via Siusi 12. Nei precedenti
sgomberi come anche in quest’ultimo l’unica soluzione concreta
è stata offerta dalla solidarietà degli abitanti di altre occupazioni
abitative che hanno accolto e ospitato le persone e le famiglie
buttate in strada affrontando così nuove difficoltà.
3.
Nel corso degli ultimi incontri (maggio-agosto 2023) abbiamo
fornito un censimento anonimo degli abitanti di via Esterle che
riportava notizie sui dati anagrafici, la nazionalità, il permesso di
soggiorno, il contratto di lavoro e il reddito medio annuo.
Una documentazione che era già stata inviata, come richiesto nel
primo incontro con l’Assessorato alla Casa (luglio 2022), a
Milano Abitare – l’Agenzia per l’affitto accessibile del Comune
di Milano, che sulla base di questa documentazione ci aveva
comunicato che soltanto coloro che avevano un contratto a
tempo indeterminato o determinato di un anno avrebbe potuto
iscriversi alla suddetta Agenzia per ricevere informazioni sulle
offerte di appartamenti a canone calmierati.
Nell’ultimo incontro avvenuto on line il 14 agosto 2023, in cui
erano presenti Marco Granelli Assessore alla sicurezza,
Lamberto Bertolè Assessore al welfare, Pierfrancesco Maran
Assessore alla casa, insieme a una delegata della vice sindaco
Anna Scavuzzo e a diversi dirigenti delle direzioni Sicurezza,
Casa e Welfare, ci è stato detto che le uniche soluzioni trovate
erano dei posti letto in alcuni pensionati e ostelli/alberghi
individuati dal Comune, di cui però erano certi solo 4/6 posti
presso il pensionato Belloni a 450 euro a persona, e la possibilità
di rivolgersi al Centro di via Sammartini per le persone senza
fissa dimora. Ma da una ricognizione che abbiamo fatto in
queste ultime ore i pensionati proposti dal Comune sono tutti al
completo mentre i costi degli ostelli sono di circa 24-30 euro al
giorno e in molti casi prevedono una permanenza di solo una
settimana.
Senz’altro più rilevante è stata la richiesta, più volte ribadita, di
lasciare vuoto lo stabile di via Esterle entro fine agosto in modo
da consentire l’ingresso dell’Associazione Casa della Cultura
Musulmana dal momento che alla stipula dell’atto di cessione
del diritto di superficie fra i due soggetti, avvenuta il 10 luglio
2023 (ma di cui siamo venuti a conoscenza solo il 31 luglio), il
Comune si è impegnato a consegnare lo stabile libero da persone
e cose entro trenta giorni, e che il periodo successivo al 10
agosto, giorno previsto per la consegna dei locali, rappresenta
una proroga concertata con la Prefettura di Milano.
Rete Solidale Ci Siamo
25 agosto 2023
https://www.facebook.com/profile.php?id=100066640086268
Riportiamo intervento fatto durante il corteo dell’8 luglio sulla questione abitativa:
In un precedente appello per una lotta di eguaglianza con la richiesta di documenti per tutte/i senza discriminazione, la Rete Solidale “Ci Siamo” scriveva: “ siamo lavoratori e lavoratrici allontanati/e dalle loro famiglie dal disastroso saccheggio colonialista, mandiamo avanti cantieri e magazzini, siamo riders e facchini, puliamo uffici e hotel, mandiamo avanti le cucine, accudiamo bambini ed anziani e ci spezziamo la schiena in campagna. E’ ora di unirci, di far sentire la nostra voce che è la stessa di tutte/i le lavoratrici e lavoratori sfruttati, di mettere fine alle discriminazioni ed ai ricatti.
Parto da questo punto per parlare di un popolo, quello palestinese, che queste condizioni le conosce tutte da più di settanta anni, che vive in parte nella diaspora, nei campi profughi, che si vede negati i diritti più elementari e che è testimone del furto della sua terra, che non ha un’economia propria, espropriato dell’acqua, delle case e della propria storia, costretto ad affrontare la pulizia etnica e la gentrificazione.
Già un concetto che nelle grandi città ed in particolare a Milano che sta subendo lo stravolgimento di tutti i vecchi quartieri popolari, l’espulsione delle fasce di popolazione più deboli, conosciamo bene, ma che anche in Palestina dove Gerusalemme (Al-Quds) è l’esempio più eclatante che si sta verificando da tempo, portato avanti da un sistema coloniale capitalista.
Per comprendere la gentrificazione in questo contesto, bisogna analizzare le tattiche utilizzate dal sionismo e risalire alla filosofia di Theodore Herzl, il fondatore del sionismo, nella quale proclamava “Le terre private delle aree che ci sono state assegnate devono essere confiscate ai loro proprietari. Gli abitanti poveri devono essere rapidamente evacuati dall’altra parte del confine dopo che gli si è assicurato un lavoro nei paesi di destinazione. Gli verrà negato il lavoro nel nostro paese; in quanto ai grandi proprietari terrieri, finiranno per unirsi a noi.”
Istituita più di un secolo fa, questa strategia è il piano ufficiale su cui l’entità sionista ha lavorato a spese dei palestinesi, i residenti indigeni, anche nelle terre su cui l’occupazione non ha il completo controllo.
Molto semplicemente, uno stato espansionista coloniale opera portando dalla sua parte i
capitalisti palestinesi per mantenere sia la forza lavoro, che la popolazione palestinese sotto il suo
dominio.
Una penetrazione che si muove soprattutto con una triplice strategia: mediatica, politica e
militare. Per la parte mediatica, grazie all’uso dei mass media, il sionismo tenta di rendere
accettabili i propri crimini o meglio ancora di negarli, mistificando la realtà ed imponendo una narrazione in cui il sistema di occupazione delle terre palestinesi, il razzismo, le azioni che mirano all’allontanamento della popolazione autoctona, le torture, gli eccidi, sono solo il risultato del perenne tentativo di difendersi dagli attacchi del popolo palestinese.
Abbiamo visto in questi giorni a Jenin dove i sionisti hanno portato avanti un attacco violento alla città ed al suo campo profughi, con migliaia di soldati supportati da 15 ruspe militari che hanno letteralmente “arato” le strade principali della città distruggendo tutta la tubatura dell’acqua e delle varie infrastrutture, con un alto numero di morti “i martiri” come li definiscono i palestinesi e molti feriti alcuni dei quali in condizioni gravi.
Per la parte politica i sionisti hanno tessuto una fitta rete di accordi d’interscambio con i vari paesi, Italia compresa, che non riguarda solo l’aspetto militare o quello dell’esportazione di forme di controllo sociale e repressivo, ma la cooperazione scientifica con le varie Università (in Italia ricordiamo quelle di Torino, di Milano con il Politecnico in primis) per sviluppare programmi di ricerca congiunti. Stessa cosa che avviene in agricoltura e con i tentativi di infiltrarsi anche nelle questioni relative all’acqua, alla desalinizzazione, ecc.
Quindi noi qua cosa possiamo fare in concreto perché non sia solo una dichiarazione di
solidarietà?
LOTTARE per svelare le complicità, boicottare gli accordi scientifici e tecnologici, ma soprattutto lottare contro il capitalismo e l’imperialismo italiano, contro il razzismo. Per tutto questo siamo qui oggi e con le bandiere della Palestina.
DALLA PALESTINA SULLO SCIOPERO DEI PRIGIONIERI IN DETENZIONE AMMINISTRATIVA
Da una serie di brevi articoli comparsi nei giorni scorsi su HADFNEWS riteniamo
importante riportare queste informazioni, ad un giorno dall’inizio di uno sciopero
della fame che parte dai prigionieri amministrativi ma che ha l’appoggio sia degli
altri detenuti, sia dei familiari e di gran parte della popolazione palestinese.
Già da domenica 11 giugno il Comitato Amministrativo dei Detenuti, emanazione
del Comitato Superiore di Emergenza Movimento Prigionieri che gestirà questa
lotta da loro definita “battaglia”, ha annunciato uno stato di mobilitazione generale
in tutte le carceri in cui sono rinchiusi i detenuti amministrativi, come preparazione
alla partecipazione allo sciopero della fame a tempo indeterminato.
Il comitato ha dichiarato in un comunicato stampa che centinaia di prigionieri
amministrativi scioperano, a partire da domenica 18/06/2023, con lo slogan
“Rivoluzione della libertà – Intifada amministrativa”.
In precedenza, l’organismo dei Prigionieri aveva affermato che dall’inizio di
quest’anno le autorità di occupazione hanno continuato ad espandere il
provvedimento della detenzione amministrativa e per questo motivo il numero dei
detenuti ha superato il migliaio. Ad oggi i detenuti amministrativi sono nei centri di
detenzione delle tre prigioni centrali: Ofer, Negev e Megiddo.
Va sottolineato che, dall’inizio dello scorso anno 2022, i detenuti amministrativi
hanno attuato una serie di misure di lotta, la più importante delle quali è stata il
boicottaggio dei tribunali di occupazione, oltre alla fase di sciopero della fame,
effettuata da 30 detenuti amministrativi ed è durata 19 giorni, tutti passaggi che
fanno parte di una lunga lotta condotta per decenni. Il reato di detenzione
amministrativa, che costituisce uno dei reati più importanti e gravi commessi dalle
autorità di occupazione contro i palestinesi, è aumentato notevolmente dallo
scorso anno, rispetto agli ultimi anni. Le autorità israeliane hanno emesso più di
12.000 ordini di detenzione amministrativa dal 2015, con una percentuale più alta
nell’ultimo anno rispetto ai precedenti, quando il numero di ordini ha raggiunto i
2409 e l’80% dei detenuti amministrativi sono ex detenuti che hanno trascorso
anni nelle carceri dell’occupazione, anche in questo stesso regime di detenzione.
E’ importante ricordare che l’occupazione ricorre alla detenzione amministrativa
nei confronti di coloro contro i quali non è possibile presentare un atto d’accusa,
con il pretesto di avere un “fascicolo segreto” e come misura di “ritorsione”, sulla
base della Legge di emergenza ereditata dal mandato britannico.
Nel corso di una seconda conferenza stampa che si è tenuta nella mattinata di
giovedì 15/6 a Ramallah, il Comitato ha precisato che il numero dei detenuti
amministrativi è arrivato a 1083, di cui 19 bambini e tre detenute, che è il numero
più alto percentuale dal 2003 ed ha ricordato Khader Adnan, assassinato
premeditatamente dall’occupazione, che l’ha lasciato nella sua cella dopo 86
giorni di sciopero della fame, senza assistenza medica.
I partecipanti hanno anche richiamato l’attenzione su una serie di questioni
centrali: 1) quella dei vecchi prigionieri 2) i prigionieri liberati con lo scambio per la
liberazione del soldato Gilad Shalit avvenuta il 19 giugno 2011 (affare Wafaa al-
Ahrar) e l’avvicinarsi del nono anniversario del loro ri-arresto, che cade appunto il
18 giugno 3) il caso del capo prigioniero Walid Daqqa, che sta affrontando gravi
condizioni di salute nella cosiddetta “clinica carceraria” di Ramla.
Le autorità di occupazione mirano, attraverso il reato di detenzione
amministrativa, a minare qualsiasi stato effettivo e ad imporre un maggiore
controllo e supervisione sulla società palestinese nel quadro del regime di
apartheid imposto dall’occupazione a più livelli.
Al termine della conferenza, i partecipanti hanno invitato il popolo palestinese a
partecipare attivamente nel sostenere i prigionieri nella loro battaglia in corso, in
particolare con l’avvicinarsi di quella dei detenuti amministrativi.
Il numero totale di detenuti nelle carceri dell’occupazione è di circa 5000,
comprese 31 donne e 160 bambini.
Canpagna NO al Ponte Ben Gurion
Milano, 18/06/2023
Giovedi 22 giugno ore 20:30 Via Esterle 15 Milano
ASSEMBLEA PUBBLICA ORGANIZZATA DA LA RETE PER IL DIRITTO ALL’ABITARE
Sabato 10 giugno dalle ore 18 Piazza Costantino 1 nello spazio esterno della sezione ANPI di Crescenzago
racconti, voci ed esperienze dai viaggi in Palestina ed interventi di alcune insegnanti protagoniste di un gemellaggio con una scuola Palestinese.
organizzano Campagna No al Ponte Ben Gurion, Anpi Crescenzago e Casa Crescenzago
4 FILM PER PARLARE DI CARCERE, PRIGIONIA POLITICA E RESISTENZA
Venerdi 9 giugno dalle ore 21 proiezione di ” Una notte di 12 anni” un film di Alvaro Brechner (2018)
Uruguay 1973, la nazione è sotto il controllo di una dittatura militare. Una sera d’autunno nove prigionieri politici appartenenti al Movimento di Liberazione Nazionale (Tupamaros) vengono prelevati dalle loro celle nell’ambito di un’operazione militare segreta che durerà 12 anni e messi in isolamento in piccole celle in cui trascorreranno la maggior parte del tempo incappucciati, legati, in silenzio, privati di necessità fondamentali, denutriti. I loro corpi e le loro menti spinti oltre i limiti dell’immaginabile. Verranno assoggettati ad una forma di tortura mirata ad abbattere le loro capacità di resistenza psicologica dove l’ordine dell’esercito è chiaro: “Visto che non possiamo ammazzarli, li condurremo alla pazzia”.
Il film è basato sulle testimonianze delle esperienze vissute da tre Tupamaros, tra le figure più importanti dell’Uruguay contemporaneo: José “Pepe” Mujica (ex presidente dell’Uruguay), Mauricio Rosencof (scrittore e poeta) e Eleuterio Huidobro (ex Ministro).
Rassegna di 4 film per parlare di carcere, prigionia politica e repressione
venerdi 12 maggio: Hunger (2008) di Steve McQueen
venerdi 26 maggio: Fuga da Pretoria (2020) di Francis Annan
venerdi 9 giugno: Una notte di 12 anni (2018) di Alvaro Brechner
23 giugno: Silent Death (Sessiz Olum) 2001 di Huseyin Karabey