8 marzo: blocchiamo la macchina bellica – iniziativa alla Leonardo di Nerviano

Nella mattina di sabato 8 marzo, tra le iniziative per la giornata di lotta internazionale delle donne, siamo stati fuori dai cancelli della Leonardo a Nerviano (MI) per dare continuità alla mobilitazione contro le fabbriche di armi e contro la logistica di guerra come forma di sostegno alla resistenza del popolo Palestinese e come forma concreta per la crescita di un movimento che si oppone alla guerra e pone le basi per una critica radicale a questo sistema sociale

riprendiamo dai Giovani Palestinesi:

BLOCCHIAMO LA MACCHINA BELLICA
Questo 8 marzo abbiamo presidiato i cancelli dello stabilimento di Leonardo SpA a Nerviano, in provincia di Milano. La più grande azienda bellica italiana e seconda in Europa, Leonardo SpA, rifornisce l’entità sionista contribuendo concretamente al genocidio del popolo palestinese, dei massacri e la devastazione perpetrati in Libano, Siria e Yemen.

Questa mobilitazione, promossa dalle realtà palestinesi assieme a Milano per la Palestina e l’Assemblea contro la guerra di Varese e provincia, dimostra che possiamo orientare la nostra lotta verso i punti nevralgici dell’industria bellica.

Nonostante lo schieramento della polizia, il presidio si è trasformato in corteo sulla Strada Statale 33 del Sempione, principale via d’accesso della fabbrica, bloccandone il traffico. Bloccare le fabbriche della morte e la logistica che permette il rifornimento di armi al progetto genocidario sionista è un dovere a cui siamo chiamatə a rispondere qui e ora.

In Europa sta avanzando la corsa al riarmo – il piano ReArm Europe di 800 miliardi per l’industria bellica sancisce il totale investimento dell’Unione Europea nelle politiche imperialiste e, internamente, in un’economia di guerra. Un’economia che ci costringe a fare lavori disumanizzanti, che ci vuole poverə, sfruttabili e ricattabili, ridottə al silenzio e all’obbedienza.

Il nostro dissenso infatti fa paura – lo testimonia la repressione crescente in Italia e in tutta Europa – perché insieme abbiamo il potere di fermare questa macchina di morte e rivendicare la nostra dignità.

Per questo continuiamo a rafforzare la nostra lotta, portando avanti il percorso mobilitativo con i sindacati di base, lə lavoratorə, lə studenti e le organizzazioni, verso la manifestazione nazionale ad Aprile a Milano, verso la costruzione di una forza collettiva sempre maggiore, in grado di colpire concretamente la filiera della guerra.

EMBARGO TOTALE A “ISRAELE”
CONTRO L’ECONOMIA E LA LOGISTICA DI GUERRA

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8 marzo: blocchiamo la macchina bellica – presidio alla Leonardo

8 MARZO PRESIDIO ALLA LEONARDO DI NERVIANO (MI) DALLE ORE 10:30

L’Italia, terzo paese esportatore di armi verso l’entità sionista, è attivamente complice del genocidio in Palestina.

Le armi italiane, prodotte dalle grandi multinazionali della morte – tra cui Leonardo SpA – sono strumento di una violenza che è parte integrante del sistema capitalista e imperialista che opprime i popoli del mondo. Questo legame tra industria bellica e oppressione non è un incidente di percorso, ma il risultato di politiche volte a favorire gli interessi economici e il profitto al dì sopra della giustizia e del diritto dei popoli a esistere e a resistere.

L’Italia è in prima linea nella corsa al riarmo in Europa e, mentre aumentano le spese militari, il governo italiano al servizio delle grandi imprese belliche continua a spingere per politiche di repressione sociale e politica.

Questo processo avviene a discapito dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, sempre più ridotte a salari miseri, orari estenuanti, assenza totale di tutele, infortuni e morti sul lavoro. L’industria delle armi, che continua ad arricchire pochi, è simbolo del capitalismo che sfrutta i popoli oppressi in Palestina, come sfrutta i lavoratori e le lavoratrici in Italia.

La politica bellica italiana non è solo una questione di minaccia alla giustizia globale, ma un chiaro esempio di come il profitto venga posto come priorità rispetto alla dignità dei popoli e alla giustizia sociale.

Oggi più che mai, è fondamentale che la nostra risposta sia chiara e determinata: non possiamo permettere che il governo, mentre preme per leggi repressive volte a soffocare ogni legittima pretesa di giustizia e pacificarci all’interno, continui a opprimerci e ad arricchirsi con il nostro sangue esportando morte in Palestina, dove il popolo continua a resistere alla propria pulizia etnica. Il profitto militare che uccide i nostri fratelli e sorelle in Palestina e nel Sud Globale è lo stesso che ci sfrutta e schiaccia in Italia.

Non saremo complici dell’oppressione dei popoli, solo bloccando la macchina di morte potremo dirci liberi dalle catene imperialiste.

BLOCCHIAMO LA MACCHINA DI MORTE
STOP ARMI A “ISRAELE”

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7 marzo: Il Capitale – capitolo 1

S.O. FUTURA invita al primo incontro del gruppo di lettura de “Il Capitale”! In questo incontro ci sarà una presentazione del capitolo 1 “La merce”, con un successivo momento di riflessione e dibattito.
🔻 Ci vediamo venerdì 7 marzo alle ore 17:00 in Panetteria Occupata

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3 marzo: proiezione de “L’AMERIKANO”

LUNEDI’ 3 MARZO ORE 17:30 CINEFORUM
S.O.FUTURA organizza la proiezione de L’Amerikano (État de siège, 1972), diretto da Costa-Gavras, è un film liberamente ispirato a eventi reali accaduti in Uruguay all’inizio degli anni ’70. Il film racconta il rapimento di un funzionario americano da parte dei Tupamaros, un gruppo di guerriglieri urbani attivi contro la dittatura militare. Dietro la sua facciata di uomo d’affari, il protagonista si rivela un agente CIA coinvolto in operazioni segrete per sostenere regimi repressivi.
🔻 Costa-Gavras usa questa vicenda per denunciare il ruolo degli Stati Uniti nelle dittature sudamericane, la repressione delle opposizioni e le tecniche di manipolazione politica. Il film offre una riflessione sulla violenza di Stato, la Resistenza e il concetto di giustizia in contesti di guerra.
🔻 Vi aspettiamo lunedì 3 marzo in Panetteria Occupata (via Conte Rosso 20, zona Lambrate), per la proiezione del film, con dibattito e in seguito cena vegana, birre e drink!
🔻 La Panetteria è uno spazio che presenta un piccolo gradino all’ingresso.
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Comunicato in solidarietà a Eddy

Condividiamo appieno il comunicato – che riportiamo*- lanciato dal Laboratorio
Politico ISKRA di Napoli, dopo la sentenza di primo grado nei confronti del
compagno Eddy, condannato a 6 mesi di reclusione per l’iniziativa sindacale del
movimento di lotta “Disoccupati 7 novembre”.
L’accusa è di aver aggredito gli addetti al controllo ingressi del Municipio in
occasione di un consiglio comunale in cui, come era stato previsto, fu ricevuta una
delegazione del comitato 7 novembre dalla Presidenza e dai capogruppo del
Consiglio Comunale. È evidente la strumentalità delle accuse e il tentativo
intimidatorio verso la lotta, che da svariati anni, questo movimento esprime.
Come compagne/i di Panetteria Occupata,
a Eddy, al comitato Disoccupati 7 novembre e a chi lotta, va tutta la nostra
solidarietà.
Cercare di impedire che le lotte si arrestino, imprigionando un compagno
riconosciuto, apprezzato ed amato per il grande, convinto e generoso contributo che
quotidianamente apporta alle lotte, è un’illusione del potere.
Finché ci saranno ingiustizia, sfruttamento, oppressione, guerre di egemonia, le idee
per la costruzione di un mondo liberato dalla logica del profitto e della
sopraffazione -la storia ce lo insegna- si esprimerà nella lotta delle classi subalterne.
Il nostro compito è contribuire a questo percorso, non lasciando solo/a nessuno/a
e, la solidarietà che si esprime continuando a lottare, è l’arma che abbiamo in mano.
Ti arrivi, caro Eddy, a te e ai tuoi/nostri compagni di lotta, il nostro abbraccio
solidale.

Panetteria Occupata- Milano

*comunicato del Laboratorio Politico iskra
https://www.instagram.com/p/DGgEX5poTTJ/?igsh=b3Q2N2J4ZHRoMnBk

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26 febbraio: presidio Free Anan

MERCOLEDI 26 FEBBRAIO ORE 9:30 PRESIDIO ALLA PREFETTURA DI MILANO CORSO MONFORTE 31

In questa giornata si terrà l’ udienza preliminare presso il Tribunale de L’Aquila per  Anan, Ali e Mansour.

Questo processo ha inizio nello stesso momento in cui i carri armati sionisti entrano nei campi di Jenin e di Tulkarem e continuano le deportazioni del popolo palestinese dalle loro case in Cisgiordania,  mentre a Gaza la Resistenza ha strappato una fragile tregua. Tregua che ha permesso a migliaia di prigionieri palestinesi il ritorno in libertà fuori dalle terribili carceri sioniste dove la tortura è quotidianità. È evidente  la criminalizzazione della Resistenza al fine della messa in discussione  della sua legittimità.

Si vuole portate a processo 3 palestinesi che da anni vivono in Italia al fine di creare e alimentare un clima di paura, per fermare le mobilitazioni e la solidarietà internazionale.

Lo Stato italiano continua a rendersi complice  dei colonialisti israeliani tenendo da più di 1 anno in carcere Anan nello stesso carcere di Terni dove ha incontrato altri compagni rivoluzionari da molti anni detenuti e, imbastendo questo processo falsa per presunto “sostegno al terrorismo”, attacca la legittima Resistenza armata del popolo palestinese e delle sue organizzazioni.

Nella giornata di mercoledì 26 febbraio in molte città, a partire da quella de L’Aquila, si terranno momenti di agitazione, di sensibilizzazione e diversi presidi. Facciamo sentire la nostra solidarietà e facciamo sì che la partecipazione sia ampia  al presidio di Milano alla Prefettura.

LIBERTA’ PER ANANA YAEESH!

LA RESISTENZA NON SI ARRESTA!

LA RESISTENZA NON SI PROCESSA!

Per aderire alla campagna Free Anan si può contattare il Comitato Free Anan  scrivendo a comitatofreeanan@gmail.com

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28 febbraio: Serata giochi con la Santa Femminile: vieni a giocare con noi e sostieni il calcio popolare! 

Serata giochi con la Santa Femminile: vieni a giocare con noi e sostieni il calcio popolare! 
28 febbraio  Dalle 21:00 Panetteria Occupata – Via Conte Rosso 20, Milano
Lambrate M2  tram 33/19 bus 54/39/924
Sfida amici e amiche in un torneo di biliardino, Trivial, “Indovina chi” edizione St. Ambroeus e tanti altri giochi! Una serata di divertimento e solidarietà per sostenere il calcio femminile e popolare.
 Il ricavato della serata aiuterà a finanziare il progetto St. Ambroeus, associazione di calcio popolare nata a Milano nel 2018 composta da volontari che dedicano il loro tempo con passione per permettere a tutti e tutte di avere accesso alla pratica sportiva.
 Ti aspettiamo!
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19 febbraio: Presidio per la liberazione di Georges Abdallah

19 febbraio ore 18:30 presidio davanti al Consolato francese Via C.Mangili 1 Milano (mm3 Turati) promosso da Solidali con la Palestina

LIBERTÈ  POUR GEORGES ABDALLAH – LIBERTÈ POUR LA PALESTINE  

Lo scorso novembre il Tribunale che regola l’applicazione delle pene ha autorizzato la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah a condizione che lui ritorni in Libano, una decisione storica che però è stata immediatamente sospesa per l’opposizione della Procura nazionale antiterrorismo. La Corte d’Appello di Parigi si pronuncerà quindi il 20 febbraio sulla domanda di liberazione condizionale di quello che viene definito “il più longevo prigioniero politico d’Europa”. Abdallah è in carcere da 41 anni e questo ci ricorda come nelle stesse condizioni anche lo Stato italiano tiene in carcere da più di quarant’anni (alcuni dal 1982) 16 militanti delle Brigate Rosse, oltre a tre compagne/i sottoposti da ormai 20 anni al regime carcerario speciale dell’art. 41Bis, che mira al loro annientamento attraverso il totale isolamento con l’esterno e tra gli stessi prigionieri.

Un punto che deve stimolare una riflessione sull’intera vicenda di Georges Abdallah è ricordare come  il governo USA sia intervenuto ripetutamente intimando al governo francese di mantenere gli impegni presi: mantenere in carcere il compagno, utilizzando una motivazione strumentale secondo la quale “Le giurisdizioni per l’applicazione delle pene non prevedono la concessione di libertà condizionale al condannato non ancora posto in regime di semilibertà”.

Così come non va dimenticato il ruolo dell’imperialismo francese nelle politiche di aggressione militare contro i popoli oppressi, spesso celato dagli “interventi umanitari” come  nel caso dell’attacco alla Libia, la presenza in Senegal in Costa d’Avorio, e varie operazioni nel Sahel a  protezione delle forniture di uranio provenienti dalle miniere del Niger; una presenza coloniale in costante evoluzione.

Ma anche l’Italia è tra gli Stati UE che stanno cercando di giocare un ruolo in vari paesi così come in Libia;  in continuità con il proprio passato coloniale, ha assunto il ruolo di controllo dei flussi migratori,  in qualità di  paese europeo di primo arrivo per i migranti e richiedenti asilo che transitano. Se poi vogliamo sintetizzare la sua strategia, in senso ironico ovviamente, essa sarebbe inquadrabile nel paradigma “guardare l’Africa come opportunità”.

Oltre a tutto questo c’è il ruolo dell’entità sionista nella vita di Georges. Due anni prima dell’arresto in Francia, avvenuto a Lione nel 1984, con l’Operazione Pace in Galilea i sionisti guidati da Ariel Sharon attaccano il Libano e la destra falangista libanese, con l’appoggio israeliano, compiendo la strage nel campo profughi di Sabra e Chatila a Beirut, massacrando per tre giorni, a metà settembre, uomini, donne, anziani e bambini. Un massacro a lungo rimosso, simbolo di come l’Occidente volti lo sguardo altrove quando i propri alleati commettono i peggiori crimini di guerra, come avviene ripetutamente da 77 anni quando si tratta di Palestina e palestinesi. L’attacco sionista fece 25mila morti e quasi il doppio dei feriti tra il popolo libanese e 3.500 nel solo campo profughi di Sabra e Chatila.

Quindi la vita del compagno Georges Abdallah, prima militante del Fronte Popolare della Liberazione della Palestina,  ferito nel Sud del Libano nel 1978 durante il primo tentativo di occupazione sionista, si intreccia con la lotta per la liberazione del popolo arabo contro il sionismo e o le complicità occidentali con Israele.

Abdallah,  è ancora in carcere come monito/esempio per il rifiuto di disfarsi delle proprie convinzioni politiche e la Francia e i suoi alleati, gli Stati Uniti e Israele, cercano di imprigionare le idee di Georges Abdallah e l’eredità dei movimenti rivoluzionari che hanno agitato il continente negli anni.

E’ in carcere perché si è sempre battuto per la liberazione delle masse popolari arabe e palestinesi, perché appartiene a quella generazione di comunisti, da Che Guevara, a Abu Hani, a George Habash e tanti altri, che hanno dato all’internazionalismo la dimensione di lotta rivoluzionaria senza confini, combattendo su diversi fronti nei paesi semicoloniali e cercando di estenderla anche ai centri del potere imperialista, restituendogli “in casa” la loro guerra contro i popoli.

Georges è sempre stato solidale verso i prigionieri palestinesi e non solo: partecipando ai vari scioperi della fame ha costantemente espresso sostegno alle lotte sociali in Francia portando un contributo attivo contro la repressione dei movimenti.

Durante questi 40 anni di detenzione Abdallah ha mantenuto fermamente la sua posizione di combattente e questo suo atteggiamento ha alimentato, al tempo stesso, il sostegno di chi lo vede come un eroe della resistenza e l’odio dei sionisti e dei loro alleati.
La sua liberazione ed il ritorno in Libano rappresentano un segnale per il movimento di resistenza palestinese ed un valore simbolico innegabile. Per molti libanesi e palestinesi è considerato un prigioniero che ha sacrificato la sua vita per una causa più grande: la liberazione della Palestina. Anche questa può essere parte di una risposta all’arroganza di Trump che, da uomo d’affari, ha avanzato la proposta di comprare la Striscia di Gaza ed espellere tutti i gazawi. Sicuramente il suo ritorno è un implicito riconoscimento delle legittime lotte dei popoli oppressi soprattutto in un momento storico come l’attuale, dove si tenta sotto diverse forme di far passare per “terrorismo” l’appoggio ed il sostegno alla Resistenza palestinese. E,  il nostro paese è fra quelli sempre pronti a dare dimostrazioni di “complicità” con la logica imperialista e sionista del diritto del più forte.  Emblematico è  il caso dei tre palestinesi tutti con protezione speciale o con status di rifugiato: Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh,  arrestati un anno fa con l’accusa di terrorismo. Anan è ancora rinchiuso nel carcere di Terni mentre Ali e Mansour sono in libertà provvisoria e il 26 febbraio saranno chiamati all’udienza preliminare, anticamera del processo contro di loro. Cosi come per Abdallah diventa urgente mobilitarsi, esprimendo tutto il nostro sostegno e facendo della solidarietà un’ arma contro la repressione.

Dal giorno del loro arresto ci sono state continue mobilitazioni che hanno richiesto la loro liberazione ed espresso la piena solidarietà alla resistenza palestinese, il rifiuto di giustificare i crimini sionisti e la volontà di unire le varie lotte per la liberazione non solo della Palestina. Il genocidio a Gaza e 15 mesi di devastazioni su tutto il territorio di Palestina, nonostante la sofferenza e la morte, hanno reso ancora più forte il legame fra la popolazione palestinese e la resistenza, di libanesi, yemeniti, altri popoli oppressi che non si arrendono e lottano contro il colonialismo, il sionismo, il capitalismo per la libertà della propria terra, per il futuro. Con tutti loro siamo parte di un fronte di resistenza che non deve fermarsi.

Con questo spirito partecipiamo al presidio di Mercoledì 19 febbraio al Consolato Francese di Milano.

Georges Abdallah nella sua storia racchiude tutto questo.

Panetteria Occupata

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21 febbraio: presentazione “Rosso Banlieue”

VENERDI’ 21 FEBBRAIO DALLE ORE 21
INCONTRIAMO ATANASIO BUGLIARI GOGGIA AUTORE DI “ROSSO BANLIEUE” e di “LA SANTA CANAGLIA”
ed insieme a lui, partendo dal racconto di un esperienza diretta nelle banlieue francesi, una ricerca “militante” svolta nelle periferie parigine teatro di rabbia e rivolte, discutiamo dell’attuale composizione di classe nel presente contesto sociale metropolitano. Una riflessione comune, un percorso di analisi necessaria alla mobilitazione e alla lotta, su una realtà che parla ancora di impegno, solidarietà e lotta di classe. Conoscere la “banlieue” come luogo di concentrazione dei figli della classe operaia, dei proletari e dei sottoproletari che nella fase attuale di crisi sistemica del modo di produzione capitalistico diventa sia sperimentazione del controllo sociale che spazio della possibile rivolta sociale che vede pronti all’azione una nuova schiera di proletari. Una riflessione collettiva, oggi ancora più urgente, per ricercare piani d’azione comune contro le politiche di controllo sociale e di razzismo di stato che trovano il loro punto di arrivo con il DDL 1660 e con l’istituzione delle cosidette “zone rosse” in numerose aree delle città e che vedono nei proletari in generale e nelle popolazioni immigrate in particolare il bersaglio primario da colpire.
Nel movimento ancora parziale e contraddittorio del nuovo proletariato che attraversa le periferie delle metropoli imperialiste insieme al messaggio concreto di Resistenza che ci arriva dalla Rivoluzione Palestinese ritroviamo i contenuti sociali per l’unità della classe e le condizioni per continuare a mobilitarci per fermare guerra, deportazioni, razzismo di stato, DDL 1660… e riaffermare il principio che “ribellarsi è giusto”, che è possibile un’alternativa, che è possibile rovesciare questo sistema classista, iniquo e guerrafondaio.
Alla PANETTERIA OCCUPATA – Via Conte Rosso 20 – Milano

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7 febbraio: proiezione “From Ground Zero – Stories from Gaza”

Venerdì 7 febbraio ore 21 il Circolo Itinerante Proletario “Georges Politzer” e la Panetteria Occupata organizzano la proiezione del film

“From Ground Zero – Stories from Gaza” di Rashid Masharawi

Per parlare di Gaza e della Palestina partiamo da una serie di immagini, le stesse che ci hanno accompagnato per più di 15 mesi nel percorrere le strade di Milano e gridare tutta la rabbia ed il dolore per questo silenzio disumano che ha caratterizzato non le popolazioni, ma i governi di tutta Europa.

Un genocidio lento, inesorabile e reso spettacolo dai media e dai racconti di giornalisti senza scrupoli (a parte poche rare voci fuori dal coro) affinché sia da monito per chi non accetta di morire in silenzio, giorno dopo giorno: i Palestinesi per quasi un secolo e noi che ancora a livello di pensiero dominante ascoltiamo che a far partire tutto sia stato il 7 ottobre 2023. Eppure quel giorno è come un grido dirompente che ha messo a nudo la volontà di non arrendersi mai, di lottare per la propria terra, per la propria libertà nel senso più profondo della parola: “noi Palestinesi siamo qui e non siamo disposti a stare a guardare, né tanto meno a perdere la speranza nel futuro per noi, per i nostri padri e madri, per i nostri figli”.

A partire da quel momento quasi subito a levarsi è stato il fumo della polvere, il frastuono delle bombe e dei palazzi che crollano come fossero tessere del domino, le fiamme, il sangue, ma insieme alla sofferenza si è accesa ancora più forte la determinazione, si è saldato ancor più forte il legame che c’era tra la popolazione gazawi e la Resistenza, sia quella del vivere giorno dopo giorno nonostante il caos intorno, sia quella armata.

La grande mattanza di questi 15 mesi e la devastazione totale del territorio sono in linea con le ripetute dichiarazioni dei sionisti, un progetto di pulizia etnica congegnato anni fa e sostenuto dai colonialisti americani con la complicità dell’Europa e delle forze reazionarie arabe, tutti convinti che con le condizioni di invivibilità create sia il momento di attuarlo. Il numero dei martiri continua ad aumentare, con il recupero dei corpi dalle strade e da sotto le macerie, il viaggio del ritorno verso il Nord dei gazawi è iniziato con un flusso ininterrotto di migliaia di giovani, donne, bambini, uomini, alcuni costretti a percorrere anche 24 Km a piedi, senza acqua né cibo, nonostante tutto la dura marcia viene vissuta come una festa di liberazione. Tutti sono consapevoli della realtà che troveranno con le loro case completamente spianate, i campi verdi che non esistono più, ciò nonostante sono contenti di tornare a respirare l’aria della propria terra. Vogliono anche riabbracciare i loro cari rimasti in vita e seppellire gli altri che sono stati assassinati. Questa è la eloquente risposta alle dichiarazioni del Presidente degli USA Trump circa l’ipotesi di una possibile deportazione. Certo, i gazawi dovranno fare i conti con tante difficoltà, prima fra tutte una quantità di bombe di vario tipo inesplose da rimuovere che il boia ha volutamente lasciato in ogni angolo con l’intenzione di continuare ad uccidere e mutilare. Soprattutto preoccupano le bombe camuffate da giocattoli, o da scatole di cibo, di caramelle o di bevande sparse sul territorio, trappole per i bambini che sono curiosi per natura. A tutto questo vanno aggiunte le difficoltà di reperire i materiali necessari per la ricostruzione, la mancanza di acqua e di attrezzi per rimuovere le macerie. Molti non riescono neppure a riconoscere il paesaggio, non riescono a trovare le proprie case, in quanto tutto è diventato un cumulo di cemento e ferraglia. Ma la gente vuole tornare e recuperare qualsiasi oggetto con la certezza che così il ricordo verrà tenuto vivo.

E noi che parte siamo disposti a fare?

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