MARTEDI 10 GIUGNO ALLE ORE 11 PRESIDIO AL TRIBUNALE DI MILANO IN SOLIDARIETÀ AGLI E ALLE IMPUTATE DEL CORTEO DELL’11 FEBBRAIO IN SOLIDARIETÀ ALLO SCIOPERO DELLA FAME DI ALFREDO COSPITO.
Lo scorso 29 maggio da parte dei PM del tribunale di Milano sono state formulate le richieste di condanna nei confronti di compagn* per la manifestazione dell’11 febbraio 2023, un corteo in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito, contro il 41 bis e l’ergastolo. Richieste di pene che vanno dai sei mesi ai sei anni per differenti reati come resistenza aggravata in concorso, lancio di oggetti, travisamento e concorso morale in danneggiamento… a seguito delle quali, martedì 10 giugno, avrà luogo la sentenza di primo grado presso Il tribunale di Milano. Oltre ad esprimere solidarietà agli e alle imputate in questo processo, tutti compagn* interni a quel movimento che si è espresso, mobilitato e lottato a sostegno della lotta di Alfredo e contro il sistema carcerario, durante e dopo il suo sciopero della fame, vogliamo spendere alcune parole in più su quella lotta animata e partecipata da molti. Il corteo del’11febbraio è stata una fra le molte e differenti iniziative che si sono susseguite a Milano e in altre città d’Italia. Sin dall’inizio della mobilitazione si sono formate assemblee in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito con l’obiettivo di sostenere la lotta contro il 41 bis e l’ergastolo e fare emergere il carattere strettamente politico di tali misure e la necessità di allargare la comprensione e la partecipazione alle lotte a sempre più ampi settori sociali; prerogativa che ancora oggi riteniamo necessaria. La determinazione della lotta di Alfredo e il suo ribadire che non si trattava di una battaglia personale, erano riusciti a rompere il silenzio attorno alla tortura “democratica”, legalizzata ed istituzionalizza che, attraverso l’applicazione del 41 bis, ovvero il regime di detenzione più drastico e punitivo applicato nel circuito carcerario, lo Stato esercita nei confronti dei prigionieri, sottoponendoli all’isolamento pressoché totale, negando anche qualsivoglia “garanzia” borghese e di diritto. Un sistema carcerario il cui scopo, in realtà, è l’annullamento fisico e mentale del prigioniero, la distruzione della sua identità e dignità al fine di indurlo, con la coercizione dell’isolamento assoluto, a collaborare, a pentirsi, a denunciare qualcun altro con cui barattare il proprio posto. Il carcere, come il sistema giudiziario, è cristallizzatore di una società sempre più frammentata e diseguale volta a reprimere tutti coloro che non vogliono o possono allinearsi: un trattamento che viene riservato a chi è incompatibile con un sistema basato sullo sfruttamento. Un sistema che punta all’eliminazione, confinamento e contenimento degli attriti più forti generati dalla contraddizione capitale-lavoro. Il carcere accomuna proletari e sottoproletari, resistenti e rivoluzionari, un’alleanza pericolosa per il capitale, che ne aveva assaporato la forza tra la fine degli anni 60’ e ‘70, quando detenuti proletari e politici si erano “contaminati”, supportati dalla situazione esterna e dal momento sociale generale. La forza che i sei mesi di sciopero della fame ha mostrato, è stata, potenzialmente, la possibilità di una rottura, di scalfire questa frammentazione e divisione tra un dentro e un fuori. Oggi lo Stato rinchiude quelle lotte nelle aule di tribunale mentre le condizioni per cui Alfredo e un ampio movimento ha lottato rimangono: il 41 bis, il fine pena mai, le sezioni di AS dove da più di 40 anni decine di compagni sono sottoposti all’ergastolo, il sovraffollamento, la mancanza di cure, i suicidi e pestaggi nelle carceri. Condizioni carcerarie e aumento delle carcerazioni che peggiorano e peggioreranno contemporaneamente alle condizioni di vita e di disagio sociale, alle lotte sul lavoro, nei territori, contro il razzismo e le disuguaglianze, la guerra imperialista e a cui lo Stato e il capitale, risponde, nel clima di crisi e di guerra che ha generato, in modo sempre più autoritario e repressivo aumentando le pene già esistenti ed allargando le tipologie di reato. Così come sta già accadendo, ma sempre più, i reati contestati, siano questi per un’ occupazione di casa o suolo pubblico contro il riarmo o le fabbriche di morte, un picchetto davanti ad una fabbrica per migliori condizioni di lavoro e salariali, o un atto di disobbedienza a sostegno della resistenza palestinese, saranno reati giudicati per il loro carattere politico, per il contenuto di critica anticapitalista e/o progettualità di cambiamento che esprimono. Quello che verrà processato e la condanna ad Alfredo aveva già messo in luce, non sarà il fatto in sé, ma l’idea che lo muove, il pensiero che lo sorregge, la critica allo stato di cose esistenti. La vicenda di Anan, Alì e Mansour lo mette in luce chiaramente, il processo che si sta svolgendo all’ Aquila, è contro la messa in discussione degli interessi imperialisti, capitalisti (Italia in testa), coloniali e sionisti e con essi il sostegno alla Resistenza e lotta di liberazione del popolo palestinese. È un processo contro l’idea di un progetto di cambiamento politico-sociale- economico in Palestina, ma, potenzialmente, in tutti i paesi capitalisti. Sostenere e solidarizzare con Anan, Mansour, Alì, così come con i prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane dove continuano a resistere, nonostante la tortura e la morte scandiscano la quotidianità e siano costretti a vivere in condizioni disumane, significa contribuire alla loro e nostra resistenza e liberazione dal giogo capitalista. Sostenere oggi i compagni* sotto processo significa mantenere vive le lotte passate e guardare a quelle future. Continuare a rompere questo silenzio, lottare contro questo stato di cose, organizzarsi di fronte alle condizioni e alla natura violenta e strutturale del carcere tutto, allo sfruttamento nei luoghi di lavoro, alle guerre imperialiste e al razzismo di Stato è necessario, è giusto.
PANETTERIA OCCUPATA
