Sabato 26 aprile Assemblea pubblica alle ore 17 alla nuova occupazione in Viale Brenta 41
Di fronte a noi c’è un mondo sempre più in guerra e in crisi.
Per questo motivo è evidente la volontà di stanziare sempre più fondi al riarmo, sottraendoli alle politiche sociali (sanità, casa, istruzione). L’Italia, in quanto paese capitalista, deve necessariamente egemonizzare e sfruttare dentro e fuori i propri confini al fine di mantenere il proprio potere e la sua posizione globale; deve assicurarsi di poter continuare a sottomettere altre aree del mondo e garantire flussi in ingresso di risorse naturali, di capitale e di forza lavoro a basso costo.
Gli effetti di queste politiche capitaliste e imperialiste si esprimono oggi internamente tramite la tendenza ad un’economia di guerra, ad uno stato di polizia e una graduale modifica della società in tal senso. I flussi migratori continuano a mantenere una centralità negli interessi capitalisti in quanto fondamentali all’inasprimento sempre maggiore dello sfruttamento sulle classi lavoratrici. La miseria in cui versano costringe lavoratori e lavoratrici a dover accettare qualsiasi condizione lavorativa; inoltre, chi ha già un posto di lavoro deve vivere nel rischio di essere sostituito: la precarietà in cui è violentemente costretta una componente della popolazione trascina con sé quella di tutte le classi oppresse. Il capitalismo ha bisogno quindi di un controllo serrato sulla popolazione, finalizzato al suo disciplinamento, in maniera particolare su quella migrante. Ciò avviene tramite strumenti di differenziazione e individualizzazione del trattamento attraverso una logica premiale: vediamo, ad esempio, l’attuazione di questa politica nelle strutture dell’accoglienza/espulsione (dormitori, Cas, Cpr). Queste strutture inoltre non sono altro che un costo per lo stato, per cui vige la tendenza a cederle a privati, soprattutto a grosse multinazionali (come per esempio Medi hospes, cooperativa alla quale è stato affidato il bando di gestione di casa Jannacci, inserito in un quadro di crescente monopolio sull’amministrazione della migrazione che l’ Italia porta avanti a fianco delle direttive emanate dall’Unione Europea e non solo: ad essa erano stati affidati infatti gli hotspot in Albania). In questo modo il servizio cambia da essere un costo a essere motivo di profitto: ogni persona “accolta” in più significa più guadagno. A questo stesso processo di privatizzazione si affianca l’innalzamento dei prezzi degli affitti e delle case e un mirato smantellamento dell’edilizia sociale, in una città che espelle e ghettizza le fasce popolari, che rimarranno comunque legate alla città dai vincoli lavorativi. Di fronte alla crisi e a potenziali forme di dissenso popolare la risposta statale non può che manifestarsi in misure repressive sempre più autoritarie , quali il Decreto Legge che in via emergenziale è appena approvato, o le zone rosse, di recente estese. Il Decreto appena citato (ex1660) è l’ultima di una serie di misure che da anni i governi utilizzano per impedire l’azione di chi si pone in opposizione a questo sistema. In tal modo vengono criminalizzate esplicitamente le pratiche e gli strumenti di lotta e si inaspriscono le pene: ciò è funzionale alla creazione di uno stato di terrore e ridefinizione della categoria del nemico interno.
Se le intenzioni dello stato appaiono chiare anche nel tentativo di estendere la sensazione di impotenza difronte alla violenza strutturale sempre più evidente, da parte nostra rispondiamo volgendo lo sguardo alla resistenza palestinese che ci fa da esempio. La resistenza segna la strada, a fronte di uno dei massacri più abominevoli di questa opera storica, ed è oggi la bandiera di tutte le lotte decoloniali.
E’ in questo quadro che oggi la lotta di ci siamo si inserisce. Da quasi dieci anni questa esperienza dà voce e difende gli interessi della classe lavoratrice immigrata e lavora affinché vengano spezzati i meccanismi di discriminazione che vogliono tenerla separata dall’intera classe proletaria. Questi interessi riguardano il bisogno di avere una casa , di non essere confinati nei ghetti periferici, di non sottostare a condizioni lavorative con contratti, turni e carichi di lavoro che rasentano il lavoro schiavile. E alimentato da un sistema razzista e ricattatorio dei documenti che rappresenta una minaccia per tutta la classe proletaria. Oggi questa componente vuole rappresentare un ponte con i propri paesi di provenienza, impoveriti e spogliati dalle politiche neocoloniali.
Quindi, perché occupiamo?
– Rifiutiamo il processo di espulsione dalla città delle classi oppresse. L’occupazione serve quindi a esplicitare la necessità di avere un alloggio sicuro e dignitoso per tutte e tutti.
– Rifiutiamo il sistema d’accoglienza che lascia in condizioni precarie e disumanizzanti le persone: emancipazione significa liberarsi dai ruoli imposti dal capitale; sia che questi siano di genere o di classe, dagli innumerevoli ricatti imposti da un sistema che ci divide in base al tipo di documento o contratto lavorativo.
– L’occupazione è il luogo di incontro e organizzazione tra le persone per l’avanzamento delle lotte.
– Per contribuire all’organizzazione di un fronte contro guerra, imperialismo e razzismo di stato, in appoggio alla resistenza palestinese.
– Di fronte ai decreti repressivi crediamo lottare sia possibile e doveroso, difendendo quelle pratiche di lotta, che da sempre appartengono alla storia dei movimenti e che hanno dimostrato la loro incisività.
Oggi i lavoratori e lavoratrici immigrate, gli studenti e le studentesse, i solidali a questa lotta vogliono lanciare un messaggio a tutta la classe sfruttata , a tutt/e quelli/e che faticano e soffrono davanti al sempre maggiore impoverimento e a cui viene impedita la possibilità di parola.
Di fronte a noi c’è un mondo che va conquistato!
