Riprendiamo un contributo di riflessione inviato all’Anpi per la celebrazione del 25 aprile 2024. Un contributo rivolto a tutti quelli che in quella giornata vi prenderanno parte, un contributo per ribadire il sostegno alla lotta del popolo palestinese e di tutti i popoli oppressi contro chi oggi, ancora, continua in un opera di colonizzazione e di sterminio.
All’ ANPI – MILANO
All’ ANPI NAZIONALE
riteniamo inevitabile inviarvi questa elaborata riflessione, sebbene non inedita, resa urgente in ragione dell’attuale drammatico scenario internazionale, con espresso riferimento al genocidio in atto ai danni del popolo palestinese e la portata del termine deriva la sua forza dall’autorevolezza della fonte che lo ritiene plausibile. Il XXV Aprile per gli taliani antifascisti rappresenta l’essenza dei valori che ci accomunano, vale a dire la libertà dall’oppressione nazifascista conquistata grazie alla lotta ed al sacrificio dei partigiani, mai inclini a soggiacere al terrore.
La Resistenza, quindi, contro un modello di società ingiusto, ineguale, abominevole e la volontà di costruire, insieme, un mondo ispirato a principi di solidarietà, eguaglianza, giustizia, senza padroni, liberi tra uguali; valori universali fatti propri dalle coscienze che impongono, oggi più che mai, di scendere in piazza a manifestare l’orgoglio di chi si sente di appartenere alla razza umana, senza distinzione di etnie, credo religioso, colore della pelle, ceto sociale; uniti dal senso di giustizia e dalla presa di posizione a favore di tutti i popoli oppressi.
In tale contesto e con simili premesse, per decenza, non può essere annoverato Israele e tollerata la presenza alle manifestazioni indette per rinnovare la portata del valore della Resistenza di coloro i quali, anche indirettamente, propagandano la loro affinità ad un Governo il cui scopo dichiarato è quello di annientare un altro popolo, annettendosi la sua terra di appartenenza.
Israele si raffigura come l’essenza della negazione di ogni idealità legata al senso di Giustizia (sociale e legale) -di Libertà-Uguaglianza-Rispetto altrui- Umanità.
Sfruttando l’antecedente storico della Dichiarazione Balfour del novembre 1917 David Ben Gurion, presidente dell’Agenzia ebraica e leader dell’Organizzazione sionista, il 14 maggio 1948, unilateralmente, proclamò la nascita dello Stato di Israele, senza nessuna indicazione dei suoi confini, viatico di futura espansione oltre la linea di partizione sancita dalla Risoluzione ONU n. 181 del novembre ’47.
Nella Dichiarazione di fondazione si legge, tra l’altro:” Questo riconoscimento del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico ad essere indipendente nel proprio Stato sovrano. Facciamo appello al popolo ebraico, ovunque nella Diaspora, affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell’immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell’antica aspirazione: la redenzione di Israele”.
Il richiamo contenuto nella Dichiarazione all’elaborazione di Theodor Herzl “precursore di una concezione dello Stato ebraico” esplicita la filosofia connessa allo svilupparsi del paradigma rappresentato dal principio sionista che tutto regola, tutto uniforma.
La logica sionista di eliminazione dei nativi, tradotta nello slogan del massimo della terra con il minimo dei palestinesi, si è storicamente manifestata attraverso diverse forme: la creazione di un insediamento ebraico separato ed esclusivo durante il periodo del Mandato britannico sulla Palestina, l’espulsione di massa e manu militari dei nativi dalla terra nel 1948 e nel 1967, le forme odierne di pulizia etnica strisciante, le politiche di memoricidio, la distinzione tra cittadinanza israeliana e nazionalità ebraica (lo Stato appartiene solamente alla nazione ebraica) che relega i cittadini non ebrei ad uno status di seconda classe. E poi la separazione/segregazione legale, fisica e spaziale (dai cantoni in Cisgiordania al campo di concentramento di Gaza) le politiche di de-sviluppo economico, la retorica e le pratiche discriminatorie e disumanizzanti, la negazione del diritto al ritorno dei profughi e la soppressione brutale di ogni forma di resistenza, soltanto per citarne alcune (tratto da “Il Ponte-genn/febb.2020 Enrico Bartolomei).
Sul punto: diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi (persone di origine araba, compresi i discendenti, costrette ad abbandonare le proprie abitazioni durante la Nakba e successivamente nel 1967) già nel ’48 le Nazioni Unite con la risoluzione 194 statuirono: “i rifugiati che intendono tornare alle proprie case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbero poterlo fare nel più breve tempo possibile ”. Israele ha impedito che ciò potesse realizzarsi mediante normative ad hoc, vedasi “la legge sulla nazionalità israeliana” (14 luglio 1953) volta a proibire ai 750.000 palestinesi con cittadinanza e passaporto della Palestina mandataria fuori dal territorio dello Stato, di far domanda di cittadinanza; la confisca e la vendita delle loro proprietà, l’inibizione al ritorno, come da espresso dettato di legge: “The Prevention of Infiltration (1954)” mirante a criminalizzare il rimpatrio dei rifugiati palestinesi autorizzandone l’arresto ed, eventualmente, la nuova espulsione.
La contraddizione in termini insita nella definizione di Israele come Stato ebraico e democratico trova la sua più palese conferma nel momento in cui la Knesset, spudoratamente, svela l’intrinseca natura del relativo Governo quale Entità etnica votata all’apartheid emettendo, il 19 luglio 2018 la “Legge fondamentale: Israele -Stato nazione del popolo ebraico”, legge che và ad aggiungersi alle precedenti 13 “fondamentali” aventi funzione di Costituzione non scritta.
Una terra proclamata “patria storica del popolo ebraico” (ove per popolo si intende anche quello presente in tutto il mondo, già giovato della “legge del Ritorno” che automaticamente garantisce il diritto di cittadinanza) ed Israele “Stato-nazione esclusivo del popolo ebraico in cui esso soddisfa il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione” principio valido esclusivamente per il popolo ebraico.
Libero di operare, finanziato, armato e protetto dal diritto di veto costantemente azionato dall’alleato nordamericano (unica eccezione l’astensione alla delibera del Cons.di Sicurezza ONU n.2334 del dicembre 2016, approvata con 14 voti su 15, quando viene chiesto ad Israele di porre fine alla politica di insediamenti a decorrere dal ’67 e che non sarà riconosciuta alcuna modifica ai confini da quella data) lo Stato ebraico persevera nella sua condotta criminale, ammantandola di legalità e dichiarandosi vittima piuttosto che carnefice; fulgido esempio il ricorso all’accusa di antisemitismo forte della definizione dell’IHRA.
L’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA )è un’organizzazione intergovernativa composta da 34 Stati membri, maggiormente europei tra cui l’Italia ma anche Stati Uniti e persino Israele, un Paese di collegamento e sette Paesi Osservatori.
Giusto per puntualizzare si osserva che nel 1975(!) l’Assemblea Generale dell’ONU-il più autorevole degli Organi deliberanti- mediante la Risoluzione n.3379 affermava essere il sionismo una forma di razzismo e discriminazione razziale; successivamente ed è il segno dei tempi di un mondo capovolto ma non per i motivi deliranti di tale Vannacci, nel 2005, sul sito web dell’Agenzia dell’Unione europea viene pubblicata la definizione di antisemitismo, intesa come documento di discussione., in realtà mai adottata e rimossa dal sito nel 2013. Ciò nonostante nel 2016 viene riproposta dall’IHRA che insiste ad affermare, mentendo, che definizione ed esempi sono stati accolti.
Malauguratamente sono molteplici gli esempi di come lo Stato ebraico si avvalga di simile cortina fumogena per rendersi latitante rispetto ai suoi ininterrotti misfatti, condotta perseguita senza soluzione di continuità sino ad oggi; tra le altre piace ricordare una circostanza ripetutasi con le medesime modalità nel corso degli anni: il 2 marzo 2021 la procuratrice capo della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda confermava l’avvio di una indagine formale sui crimini di guerra in Palestina, imputato il primo ministro israeliano; questi replicava definendo le indagini “essenza dell’antisemitismo”.
Il 27 gennaio 2020 l’Italia ha adottato ufficialmente la definizione dell’IHRA tra il plauso delle Comunità ebraiche, in primis Noemi Di Segni presidentessa UCEI “Il governo italiano scrive una pagina fondamentale nella lotta all’odio anti-ebraico in ogni sua forma, compresa quella particolarmente insidiosa di chi mina alla legittimità di Israele di esistere e di difendersi”.
“Il sionismo in Italia è oggi parte integrante della cultura dominante occidentale e non dovrebbe sorprendere considerato che è un movimento politico che trova le sue radici nella pratica e nei concetti tutti europei di colonialismo e nazionalismo. Il caso dell’IHRA dimostra come la politica istituzionale occidentale sia in larga “parte sostenitrice del sionismo e, conseguentemente, causa del problema” ( da Apartheid in Palestina – Gabriele Traetta – ed. Derive e Approdi).
La pubblicità, manifesta ed accolta supinamente, da parte degli esperti di pubbliche relazioni dello Stato ebraico per trasmettere un messaggio vittimistico pur in un contesto che, oggettivamente, non si presta ad interpretazioni di sorta su chi sia l’omicida e chi il perseguitato, trasmette una narrazione che trova il suo presupposto secondo cui …Israele ha diritto a difendersi.
Dolosamente, prescinde completamente tale “dogma di fede” dalla realtà storica densa di sopruso, furto, deportazione, stragi, detenzioni senza processo o Tribunali militari che erogano quintali di ergastoli a chi resiste, prigionieri sapientemente torturati, discriminazione, oppressione, muro di separazione, cheek-point, incursioni, umiliazioni, controllo di ogni momento della vita altrui, ingannevole presenza a falsi processi di pace, ipocrisia a piene mani, sbeffeggiamenti propri della prepotenza del padrone, assedio e beneplacito internazionale allo status quo che prevede colonialismo di insediamento, annessione, occupazione permanente.
Malvagiamente, a fronte di un massacro in atto che, ad avviso dei Giudici della più alta giurisdizione in carica, vale a dire la Corte Internazionale di Giustizia, risulta avere tutti i presupposti per essere potenzialmente definito quale genocidio, indifferente ad ogni moralità di sorta, lo Stato ebraico prosegue imperterrito nel suo crimine, sbeffeggiando qualsiasi Organo di Giustizia, violentando ogni senso di umanità, confermandosi quale entità terrorista, fuorilegge, in preda a deliri messianici.
Israele nei propri esponenti istituzionali invoca la bomba atomica (quindi ne è ufficialmente ammesso il possesso!) sui milioni di palestinesi imprigionati a Gaza, definiti animali umani, tutti colpevoli perché terroristi, da massacrare senza pietà perché la pietà appartiene agli esseri umani. Viene comunicato loro di evacuare, di recarsi in un luogo sicuro tanto da essere fucilati in loco una volta recativisi. Vengono distrutti ospedali coinvolgendo chiunque vi si trovi, non vengono risparmiati malati, vecchi, donne, bambini, si mira a qualunque “cosa” si muova. Vale solamente il giornalismo “embedded” tanto che quelli in loco, nell’esercizio delle loro funzioni, vengono deliberatamente eliminati; nessuna testimonianza delle atrocità compiute dall’esercito più morale del mondo deve uscire dai confini.
Israele ha diritto di difendersi perché lo stato di belligeranza è sorto il 7 ottobre 2023, sino al giorno prima i palestinesi erano liberi e felici godendo di autonomia, risorse futuro roseo. Questa narrazione fatta propria da politici, sedicenti intellettuali, la gran massa degli organi di (dis)informazione e TUTTI i rappresentanti delle Comunità ebraiche aiuta a comprendere chi ci circonda ed a diffidare.
Esiste una netta contrapposizione tra chi si posiziona dalla parte degli ultimi, degli oppressi, di chi lotta per la propria e l’altrui emancipazione, chi resiste universalmente e come tale vive la giornata del XXV Aprile nel suo significato più autentico e chi ha scelto di schierarsi nelle fila dell’illegalità immemore di quanto subito, chi la Resistenza la reprime, chi disdegna ogni principio di solidarietà, chi ritiene che le vite dei prigionieri in mano ai partigiani palestinesi valgano di più di quelle dei prigionieri segregati dai sionisti, chi apprezza i blocchi stradali per impedire i rifornimenti di cibo ai due milioni di palestinesi volendoli vedere morire di fame e di stenti perché comunque colpevoli.
Anche se vi credete assolti siete comunque coinvolti.
Chi sottoscrive questo appello auspica di toccare corde sensibili e perciò si rivolge all’ espressione della Resistenza partigiana italiana esortando a persuadere coloro i quali, inopinatamente, intendono partecipare alle manifestazioni del XXV Aprile sotto smentite spoglie-Brigata ebraica- di fatto identificandosi, nei gesti e nelle parole quali “Amici di Israele” ad evitare una presenza che, mai come in questa occasione, potrebbe essere intesa come insensato gesto di provocazione.
“Il sapere non è fatto per comprendere ma per prendere posizione” (M.Foucault)
“L’ingiustizia che si verifica in qualsiasi luogo è una minaccia per la giustizia ovunque” (M. Luther King)
Enzo Barone – Renata Chiari – Rodolfo Greco- Alessandra Maneschi